«Corradino, il militante che fece grande la Dc»

«Biondo era bello e di gentile aspetto». Così Dante Alighieri definisce Corradino di Svevia, sfortunato erede al trono della Sicilia, sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo e successivamente giustiziato. «Anch’io ho conosciuto il mio Corradino. Certamente non così infelice. Piccolo di statura, scuro di pelle e dalla personalità gentile e mai invadente, era tra coloro che sin da giovane s’impegnò a svolgere funzioni di attivista di base della Democrazia cristiana, senza mai chiedere nulla in cambio». Una particolare presentazione quella di Tullio Mazzolino, che continua sulle pagine de il Giornale a raccontare di personaggi noti e meno noti, che hanno contribuito allo sviluppo e alla crescita della Dc a livello locale e nazionale. Questa volta l’ex assessore ai Trasporti a Palazzo Tursi ed esponente di spicco dello scudocrociato fino agli anni 90’, presenta un personaggio politicamente minore, ma risorsa importante per il partito dagli anni cinquanta in poi. «Senza di lui e di quanti con umiltà hanno lavorato alla difesa dei valori della democrazia e della libertà, noi classe dirigente non avremmo mai potuto operare. Saremmo stati tutti ufficiali senza truppe e sergenti» spiega Mazzolino. Un viaggio della memoria dunque, che passa attraverso un senso di gratitudine nei confronti di coloro che spesero tempo, energie e vite senza grandi gratificazioni economiche e riconoscimenti elettorali. Mai candidati a nessuna carica. Ma espressione e forza di base del partito e dell’elettorato.
Mazzolino presenta il «suo Corradino» onorando così la memoria, di chi silenziosamente in ambito locale ha partecipato e contribuito allo sviluppo della Dc, partendo esclusivamente dalla base. «La politica ha le sue regole. Regole che dovevano essere rispettate allora come adesso», afferma deciso l’ex assessore. Coinvolto inizia subito a parlare, intrecciando i suoi ricordi con note di politica nazionale: «Corradino apparteneva alla corrente di Lucifredi, che a Genova occupava l’area politica della destra, operando attraverso un circolo denominato Luigi Sturzo.
In campo nazionale faceva parte della corrente centrista del ministro Scelba, allievo di don Sturzo. Dopo la morte di Scelba il leader della corrente divenne Oscar Luigi Scalfaro, uno sconosciuto deputato conservatore di Novara. Con la sua conduzione la corrente traccheggiò fino a esaurirsi – aggiunge Mazzolino -. Gli spezzoni genovesi del gruppo confluirono successivamente nella corrente Andreottiana. Scalfaro, notabilizzato, partecipava ai congressi senza essere considerato dal partito. Il caso volle che in un momento difficile della Dc venisse candidato alla Presidenza della Repubblica ed eletto». Tornando a Corradino, il narratore, sposta l’attenzione dei suoi incontri con l’attivista in occasione dei congressi sezionali e locali e nei comitati cittadini e in direzione. «Non riuscì mai ad andare oltre il ruolo svolto – confessa -. Era duro fare carriera. Diciamo anche che Corradino non era un carrierista, il che non gli permise di fare quel salto, che altri invece fecero. Ma questo non fu certo un problema per lui». L’ex assessore sorride poi quando la sua mente scova un simpatico equivoco: «incontravo Corradino alle riunioni delle sezioni di Busalla e Ronco Scrivia, che seguiva per la corrente, oltre alle sezioni di San Vincenzo e del Centro storico. A Ronco Scrivia avevo la maggioranza dei voti e la segreteria. A Busalla ero in netta minoranza, essendo la sezione gestita dai “tavianei” e dai “centristi”. A Palazzo Ducale in occasione di un’assemblea della Dc, dove era presente il segretario nazionale Martinazzoli, colui che poi divenne il liquidatore del partito, chiacchierando con l’amico Corradino, mi chiese notizie del mio paese Ronco Scrivia. La domanda mi meravigliò, essendo io nato e vissuto per diversi anni a Busalla. Chiarii subito l’equivoco. Gli domandai per quale motivo mi riteneva di Ronco Scrivia. La risposta fu disarmante. Poiché la maggioranza del partito era politicamente schierata con la mia corrente, lui dava per scontato la mia nascita in quel paese. Invece a Busalla ero in minoranza, quindi era naturale che non vi fossi nato e vissuto». Il ricordo torna invece intenso, tra l’emozione e il senso del riconoscimento quando conclude che quella: «Fu l’ultima volta che vidi Corradino. Morì lo stesso giorno. In auto un infarto lo fulminò all’istante. Faceva parte di quelle persone che con umiltà e costanza, hanno servito il partito, e di riflesso il paese senza mai chiedere nulla.

Rappresentante di quel ceto medio che permise al giovane stato democratico italiano di crescere, superare gli attacchi degli estremisti, che volevano instaurare una dittatura nel paese, sia di destra che di sinistra l’opera svolta, merita ancora una volta, di essere commemorata».
(4 - continua)

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