Una correzione del 6%? Possibile

Articolo per articolo abbiamo cercato di guidare il risparmiatore «fai-da-te» nei meandri dei mercati suggerendo ora accelerazioni di investimenti azionari, ora alleggerimenti, ora coperture o meno dei cambi, eccetera. Poiché abbiamo più volte ripetuto che quel che suggeriamo lo facciamo anche noi, visti i risultati, ci sembra che per ora non ci si possa lamentare. Segnaliamo, tuttavia, che le nostre operazioni sono tutte a commissione «Internet»; chi dovesse pagare commissioni piene alle banche (0,70%) troverebbe i suoi risultati abbastanza ridimensionati. In attesa di una correzione «benigna e salutare» intorno al 6% e ribadendo che ci attendiamo una chiusura d’anno a livelli più elevati degli attuali, specie in Europa (Germania in testa), vorremmo far intravedere ai lettori il percorso futuro che forse li attende, specie se sono giovani. Parliamo cioè del lungo termine.
La premessa è che tracciare un programma di investimenti a 20-30 anni può essere un bell’esercizio universitario ma, nella pratica, è assolutamente impossibile. La velocità dei mutamenti è sempre più elevata. È però possibile fare alcune osservazioni.
1) La «globalizzazione» non va verso una decelerazione. Di fatto è stata sposata da quasi tutti i Paesi emergenti con l’eccezione di una parte del Medio Oriente e dell’America Latina (Ecuador, Bolivia, Venezuela).
2) Il nuovo mondo, ossia Cina, India, Brasile e Russia, hanno scelto il capitalismo ancorché in forme in via di evoluzione e dove la democrazia, con l’eccezione dell’India, non è presente. Questo comporterà, nel tempo, grandi frizioni che potrebbero precludere a un cambio della guardia alla guida del pianeta.
3) Già oggi nella classifica delle maggiori società del mondo ci sono 10 aziende controllate dallo Stato e 35 private. Nella classifica di Forbes di 10 anni fa non c’era alcuna azienda statale. Dieci su 45 fa il 25% circa. Spingono innanzitutto Russia e Cina. Ma oggi anche l’Europa comincia a farsi sentire (Eni, Telecom, Eads, Edf, banche tedesche dei Länder eccetera).
4) Il rischio non è microeconomico perché queste nuove società sono gestite managerialmente e producono fior di utili. I rischi sono geopolitici: nella corsa a sostituire, o a raggiungere gli Usa, potrebbe nascere una lotta tra Stati. Il rischio è che gli investimenti nei Paesi a rischio democrazia siano nazionalizzati. Quello di Chavez (Venezuela) è solo un primo, ancorché piccolo esempio.
5) L’impero americano è ormai ovunque contestato. In questo senso, la vittoria di Sarkozy in Francia, con la dichiarazione di amicizia agli Usa va ben al di là del fatto nazionale in sé. È un segnale importante nel medio termine. La debolezza (e la forza) degli Stati Uniti sul piano economico-finanziario è che il loro debito è per il 65% in mani straniere. Il Paese è ricattabile in ogni momento ma ha anche la possibilità di non pagare più nessuno (come fece ai tempi di Nixon, svalutando poi il dollaro del 30%).


In questo quadro, la migliore via è, a nostro avviso, la seguente: 1) tracciare un piano che assegni i pesi delle azioni alle azioni, alla liquidità, ai bond secondo le proprie possibilità; 2) rivederlo almeno semestralmente tenendo sempre una liquidità sufficiente per poter apportare i necessari aggiustamenti; 3) contattare sempre il consulente finanziario e leggere questa nostra rubrica con disciplina.

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