C ome sarà una controstoria della letteratura italiana, tenendo conto che è formata da scrittori sempre così italiani? Come un Guinness dei primati per stabilire chi, tra i nani, sia il nano più alto del mondo? Qui mai nulla di globale, di veramente universale, mai un tempo ritrovato che valga per lessere umano tout court, che apra abissi e sveli verità vere, di respiro geologico: da oltre un secolo e mezzo la scienza ha scardinato ogni finalismo evolutivo, lessenza umana si è fatta tragica come non mai, ma nessuno se nè accorto e non sanno né ridere né piangere, fanno solo tanta pena. Quindi tanti piagnistei circoscritti, regionalistici, sindacalistici, tuttal più qualche trepidazione per le emissioni di CO2 e adesso per lincubo nucleare, che già faceva da scenario alle storielle amorose di Moravia perché non sembrassero troppo indifferenti ai destini del mondo.
Non ce nè uno ormai che non mi faccia sbadigliare per le vedute cortissime, un bunga-bunga di letterati ammucchiati nello stesso letto sotto una copertina troppo corta stiracchiata di qua e di là, perché quella passano il convento e le conventicole: dove peschi viene su tutto un repertorio di lagnanze politico-sociali, ormai perfino per trombarti qualcuno devi essere civile. E tutti rigorosamente allombra del proprio campanile: la Ferrara di Bassani, la Firenze di Pratolini, le Langhe di Pavese e Fenoglio, il mare che non bagna Napoli e chissenefrega, ci fosse almeno un napoletano che vedesse la monnezza come metafora dellentropia, manco quello. Va di moda riesumare anche Bianciardi, ultimamente, la vita agra e i minatori della Maremma dove oggi ci sono gli operai di Piombino e i bonificatori della Palude Pontina, quante braccia sottratte allagricoltura e arruolate nella cultura, e poi ci si lamenta che non cè più manodopera, per forza, anziché mandarli a lavorare li pubblicano.
I giovani rivoluzionari, si fa per dire, ieri mobilitati al grido di: «Vogliamo tutto», oggi sostituiti dai TQ, i Trentenni-Quarantenni che si riuniscono per dire «Vogliamo il potere», mai che producano unopera importante che faccia pensare chiunque, un urlo e il furore, un viaggio di Gulliver, un viaggio al termine della notte, un ultimo nastro di Krapp, macché, tante dispense Agitprop per salvare il paese, l'anima, lo spirito, gli operai, l'acqua pubblica, qualcosa.
Il massimo della comicità involontaria è il gruppo del «Primo Amore», che organizza una marcia da Milano a Napoli passando per le montagne e per i valori morali: «La salute, la forza, la capacità di sentimento e di pensiero, il fervore, lallegria, laltruismo, il rifiuto dellingiustizia, lamicizia, lamore», peggio di un manifesto di boy-scout dellAzione Cattolica. Non a caso lo slogan è «Alzati e cammina cammina», finissero almeno in qualche dirupo ci sarebbe spazio per qualche migliaio di immigrati che ne racconterebbero di migliori.
Nella piccineria si salva Alberto Arbasino, snobissimo, benché piazzato su una torre davorio così alta da essere ormai più virtuale di una app delliPhone, e troppo internazionale per essere letto in Italia. Non si salva Aldo Busi, ucciso da Aldo Busi, ora in servizio permanente effettivo nel proporsi come unico esempio morale di cittadino onesto che riversa le proprie indignazioni di cittadino su Dagospia, e così tra un «cazzo-figa-culo» per scandalizzare il macellaio di Montichiari o al massimo Giovanardi, ripete il refrain «io in quanto cittadino», non se ne esce, un paese di cittadini e esempi morali. A me, per carità non cristiana, come scrittore tutto ciò fa comodo, più sono cittadini loro più mi sento Christopher Lambert in Highlander.
I pochi grandi del passato sono già stati ridotti dagli italiani a cliché usa e getta: Gadda maestro dalla bella prosa, Morselli incasellato come scrittore di destra tanto per non incolpare la lobby dei moraviani che lo ha fatto suicidare inedito, Malaparte troppo poco antifascista e anche troppo poco fascista, nella divisione tra «uomini e no» di Vittorini in quale scatola andrà imballato? Italo Svevo bravo, meno male è arrivato Joyce a farcelo notare, e però vogliamo paragonarlo a Joyce? Per questo Joyce lo ha scoperto, ci ha fatto bella figura senza rimetterci niente. LOttocento, a parte il genio di Leopardi, subito etichettato come pessimista cosmico, mette ancora più tristezza: tutta una scapigliatura, un patriottismo sdilinquito tra cuori e vedette lombarde, un fanciullino a Castelvecchio, un dolore di Jacopo Ortis ma copiato dal Werther, un capolavoro di De Roberto e però uno solo, non esageriamo, e un casino inenarrabile per due imbecilli di promessi sposi, più un altro imbecille che si mette in mezzo per non farli sposare e alla fine viene fuori che la sposa è pure racchia, il tutto sorvegliato dal narratore onnisciente e dalla Provvidenza. E non bastava fermarsi al Fermo e Lucia, no, bisognava riscriverlo tre volte, tante volte non si fosse capito. Al massimo dei contemporanei si legge Calvino che, così come Foscolo ha riscritto Goethe, ha riscritto Borges e Queneau in italiano, e en passant si ascolta Dante letto da Benigni, e pure Dante, suvvia, già allepoca non si usciva da Firenze, o Guelfi o Ghibellini, come dopo o fascisti o antifascisti, o berlusconiani o antiberlusconiani, e anche Benigni ormai piace alla destra perché più conservatore di mia nonna, è diventata interessante perfino quella cagata dellInno di Mameli.
Infine il più provinciale, il più morto, il più osannato da tutti: Pier Paolo Pasolini, cattocomunista per eccellenza, anzi cristiano-comunista, per non farsi mancare nulla. Modello morale antimoderno e campagnolo, stringi stringi un Celentano prolisso, il quale aveva risolto la questione con: là dove cera lerba ora cè una città e chi non lavora non fa lamore. Antiabortista perché religioso come Celentano e come chiunque, Pasolini cucina il Vangelo in salsa stracciona e diventa egli stesso un martire cristiano. Non è morto in croce ma su un prato di Ostia, trattando per un pompino, e almeno questo lo avrebbe salvato in extremis, se anziché Petrolio avesse lasciato scritto Pompino, invece no, subito beatificato.
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