CORTEI ANTI CAPITALISTI

CORTEI ANTI CAPITALISTI

Li chiamano «indignados», con il «dos» finale, perché sono nati nella Spagna zapateriana in crisi. Poi si sono diffusi nella Grecia sull’orlo del crac. Quindi negli Stati Uniti, patria della finanza killer, e in una quarantina di Paesi. Manifestano contro le banche, i governi, i ricchi. Occupano Wall Street, presidiano i parchi pubblici, bloccano il ponte di Brooklyn. Qualcuno in America li paragona agli attivisti per i diritti sociali degli Anni 60: ma la polizia li tratta da teppisti ammanettandoli in massa.
Sono sbarcati anche da noi. Ieri l’Italia ha saputo che esistono anche gli indignati tricolori. Se n’è accorta dalle notizie di nera. Sabato si svolgerà una manifestazione a Roma come nel resto del mondo. E loro scaldano i muscoli assaltando le banche, paralizzando il traffico, urlando slogan. A Bologna gli «indi» si sono scontrati due volte con la polizia quando hanno tentato di entrare a forza nella sede locale di Bankitalia. Dodici i contusi nella guerriglia: una manifestante e 11 poliziotti.
A Roma il corteo ha mandato in tilt la circolazione da Montecitorio a piazza Santi Apostoli. A Milano un’azione di protesta è stata inscenata in piazza Cordusio, dove hanno sede le Generali e Unicredit. A Napoli è impraticabile la zona di piazza Plebiscito e via Toledo per il rischio di incidenti.
Negli Stati Uniti l’onda di protesta raccoglie migliaia di persone, da noi molte meno. Ma il marchio di fabbrica è purtroppo inconfondibile: un miscuglio di contestazione, intolleranza e a volte anche violenza. Gli indignati nostrani non sono un movimento spontaneo. Si sono presi l’estate per organizzarsi. Hanno raccolto le truppe da bacini ben conosciuti e già attrezzati: movimenti studenteschi, gruppi no-global, disobbedienti, coordinamenti di precari, occupanti abusivi di case, sindacati e comitati di base. Hanno mobilitato i social network su internet. Hanno rastrellato un po’ di armamentario ideologico e rispolverato idee arrugginite, passando dai cartelli di «san precario» alle statue di «santa insolvenza».
E soprattutto hanno ottenuto l’appoggio che conta: quello dei sindacati rossi. Sul gruppo facebook «Occupy Italy», clone tricolore di «Occupy Wall Street», si leggeva ieri che sabato i pullman per cammellare i manifestanti a Roma sono organizzati e pagati da Cgil e Fiom. «Al massimo chiederanno un contributo», specifica un attivista. Sul sito controlacrisi.org, una specie di organo ufficioso del nuovo movimento, sono evidenziate le notizie che riguardano Vendola (Sinistra e libertà) e Ferrero (Rifondazione), mentre i link rimandano a giornali come Manifesto e Liberazione, Cgil, sindacati di base e la grande rete antagonista.
I guru della protesta non sono sconosciuti cittadini vessati dagli gnomi della finanza mondiale, ma professionisti della contestazione da anni sul campo. A Roma, per esempio, spiccano Piero Bernocchi, leader dei Cobas; Bartolo Mancuso, di Action, avvocato che vive in una casa occupata, già militante «no war» e membro del «popolo viola»; Giuseppe De Marzo, fondatore di A Sud, arrestato in Ecuador per attività contro le multinazionali del petrolio e habitué dei forum mondiali no-global.
Ieri si è aggiunto un nuovo attivista anti-banche e anti-finanza: Luca di Montezemolo.

«La protesta dei giovani indignati è per molti aspetti comprensibile», ha detto il presidente della Ferrari. Chissà come la penserà quando manifesteranno sotto casa sua, come hanno fatto a New York davanti ai loft dei paperoni di Wall Street.

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