Il corteo in cui si parla di tutto tranne che del G8

Il corteo in cui si parla di tutto tranne che del G8

(...) ad una serrata in nome di una manifestazione che doveva liberare la città, una volta per tutte e vendicare le violenze di dieci anni fa. E invece. Invece succede che al corteo per il decennale del G8, sono proprio i fatti di Genova e quello che accadde nel 2001 alla riunione dei grandi a finire nelle retrovie. Superate, sorpassate da mille rivendicazioni diverse. Ce n’è per tutti e per tutti i gusti. La Tav per prima che scippa la scena non solo per quantità di striscioni e per la forza degli slogan, ma anche per l’attualità della contestazione. «Il G8 adesso è la No Tav. Ora la battaglia si trasferisce lì» ammette Haidi Giuliani che apre il corteo insieme al marito. Ma cosa c’entra la Valsusa con le giornate genovesi di luglio 2001, con la Diaz, Bolzaneto, i processi e tutto il resto? Tant’è. Ma alla grande manifestazione poi ci sono anche i comitati del referendum per l’acqua pubblica, quelli di Legambiente, quelli che dicono no alle guerre. Quelli che invece dicono sì alle chiese, quelli che lottano contro le uccisioni delle donne oggi, l’indipendenza del popolo basco, i cubani negli Usa e i curdi. E Genova, e il G8 e il 2001, le rivendicazioni per cui la città si è fermata per un giorno intero, che fine hanno fatto?
Si comincia alle 16.30 da piazza Montano a Sampierdarena in un clima surreale con la Superba deserta e blindata. Il corteo parte puntualissimo, si allunga per via Cantore sotto gli occhi dei genovesi che assistono dall’alto alla processione. Passano pochi minuti e già comincia la guerra dei numeri. Cinquemila dice la questura, no diecimila - cifra poi confermata in serata -, di più: trenta, anzi cinquantamila rilanciano alcuni siti amici. Si procede in marcia con i cori dei valsusini che gridano «Noi la Tav non la vogliamo, fuori la mafia dalla Valsusa», sono loro a dettare il passo, sono loro i più numerosi e si capisce che hanno preso il posto dei giottini. Loro, i nostalgici, provano a rilanciare con gli slogan ripetuti in tutti questi giorni di commemorazione: «Carlo vive e lotta insieme a noi. Noi la Diaz non la dimentichiamo». Ci provano, ma poi dietro ci sono quelli del comitato No Gronda che incalzano , quelli contro il gassificatore di Scarpino, Emergency, i centri sociali locali e quelli che vengono da fuori e i Cobas. Il serpentone scivola lungo lo stradone che porta verso il porto. Supera anche i due punti caldi, l’imbocco dell’autostrada e della Soprelevata e tutto fila liscio. I manifestanti arrivano in via Milano e poi a metà di via Gramsci mettono piede nella vecchia «zona rossa», quella che dieci anni non riuscirono a varcare. «Ma quali black bloc: sono un’invenzione della polizia. Dove li vedete? - urla un signore in corteo -. Sono poliziotti in pensione e in congedo parentale». Peccato che allora quell’invenzione delle forze dell’ordine misero a ferro e fuoco la città.
In mezzo al corteo ci sono alcune delle vittime dell’assalto alla Diaz, si fermano a parlare con i cronisti per raccontare la loro storia a telecamere e taccuini pronti a raccogliere ancora una volta i loro ricordi.
Si cammina a passo sostenuto, troppo veloce per gli organizzatori che consigliano ai gruppi di rallentare perché altrimenti ci si sparpaglia troppo e l’effetto è quello di essere pochi.

Dunque via Gramsci, poi verso Caricamento in mezzo a nuovi striscioni che spuntano dalle mani dei manifestanti e rivendicano lotte e battaglie di ogni genere. Sono passate le 18 da poco, il corteo si è concluso senza nessun incidente né scontri né feriti. E Genova può tornare a respirare. Per fortuna.

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