nostro inviato a Genova
L’organizzatore del corteo no-global di ieri dev’essere uno scenografo. Ha calcolato di far passare i manifestanti sulla sopraelevata di fronte al mare all’ora del tramonto, quando era rosso anche il cielo di Genova. Rosso come le mille bandiere che sventolavano e come le mille facce della sinistra che cercavano invano un nome unico: sinistra democratica, critica, unita, unitaria, alternativa, si leggeva su cartelli e striscioni.
Ma il rosso è anche il colore della vergogna, quella di cui sono privi i graffitari che si sono sbizzarriti sui muri della città. «Polizia assassina». «Brucia il Vaticano». «Chiesa e polizia, giustizia e vendetta». «Allo sbirro sputo in bocca». «Nessuna pietà per i cani». «10-100-1000 Raciti e Nassirya». «Saccheggio e devastazione non sono reati ma il nostro grido di insurrezione». «La giustizia non è nei tribunali, vogliamo la vendetta per Carlo Giuliani». Bestemmie assortite. «Banche assassine» e «Fuoco alle banche» sulla vetrata della prima banca incontrata dal corteo, la filiale Unicredit vicino a piazza Carignano. Un ragazzo con l’accento romanesco scrive «Forza lupi» su un muretto di via Saffi, e poi abbandona la bomboletta vuota per la strada.
La temuta saldatura tra gruppi antagonisti e ultras, accomunati dall’odio verso le forze di polizia, non c’è stata. I tifosi che domenica scorsa hanno dato l’assalto agli stadi dopo la morte di Gabriele Sandri non sono calati a Genova. Ma la tensione è stata altissima nella città dove morì Carlo Giuliani negli scontri durante il G8 del 2001, e dove un pubblico ministero ha chiesto 225 anni complessivi di carcere per 25 manifestanti di allora. Ieri Genova si è tappata in casa, senza bisogno di «zone rosse» e transenne. Niente ali di folla al passaggio dei 35mila manifestanti (50mila per gli organizzatori); un gruppetto di anziani al balcone sul mare di piazzale San Francesco; qualche curioso alle finestre, dove i panni stesi all’ultimo sole erano più numerosi delle bandiere arcobaleno scolorite.
Negozi chiusi in tutto il centro storico, sopraelevata chiusa al traffico. Una città deserta e impaurita. Ma anche svenata, visto il costo che graverà sulla collettività. Il direttore generale del comune, Mariangela Danzì, ha detto che la manifestazione costerà alle casse comunali 200mila euro, di cui 30mila per gli straordinari di 100 vigili e altrettanti per i 60 addetti alla pulizia delle strade, in servizio per tutta la notte.
Quando il serpentone si era mosso dalla Stazione marittima, gli organizzatori avevano urlato: «Via i simboli di partito». Ma i partiti sono accorsi a Genova, eccome. Così, assieme ai centri sociali e agli anarchici, ai Carc e a Emergency, alla Cgil e ai Cobas, ai vari «No Dal Molin» e «No Tav» ma anche «No Vat» (cioè Vaticano) sono sfilati anche Rifondazione, Pdci, Verdi, Partito comunista dei lavoratori. E i politici, dal segretario di Rifondazione Franco Giordano alla senatrice del Pdci Manuela Palermi (ma si sono fatti vedere anche Francesco Caruso e Vittorio Agnoletto), si sono piazzati in prima fila, a favore di telecamera, per chiedere la commissione di inchiesta parlamentare sui fatti di sei anni fa.
Ma in cima al corteo c’erano soprattutto don Andrea Gallo, borsalino in testa, sciarpa, sigaro, e Haidi Giuliani, mamma di Carlo e oggi senatrice di Rifondazione. Per tutti, «i 25 compagni sotto processo sono capri espiatori» perché «i veri responsabili sono stati promossi ad alte cariche dello Stato» e «i sassi lanciati contro la polizia nel 2001 era legittima difesa» dal momento che «la polizia spara su tutto quello che si muove».
Dal corteo si levano slogan già sentiti. «Tutti liberi», riferito ai teppisti sotto processi. «Carlo è vivo e lotta insieme a noi», «in ogni caso nessun rimorso», «chi devasta e saccheggia è lo Stato». Un gruppo di anarchici brucia una bandiera americana in via Dante, zona «bene» di Genova. In piazza De Ferrari, a conclusione della sfilata, don Gallo e Haidi Giuliani arringano per l’ultima volta la folla sotto il palazzo della Regione Liguria.
Le forze dell’ordine hanno controllato i dimostranti in modo discreto.
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