Il corteo della Lega a Milano: braccio di ferro in piazza

Il corteo anti Monti di oggi sarà anche una conta interna in vista dei congressi. Il "cerchio magico" fa quadrato per paura di finire sotto processo

Il corteo della Lega a Milano:  braccio di ferro in piazza

La notte dei lunghi fischietti, quelli nascosti nelle tasche dei leghisti in piazza e pronti a colpire, sommergendolo di suoni, il nemico che parla. Sì ma quale nemico? Ovvio che dipende dalla fazione. La nomina di Giampaolo Dozzo, «un galantuomo», leghista della prima ora, a capogruppo dei deputati leghisti al posto del «cerchista» Marco Reguzzoni, ha leggermente calmato gli animi nella Lega, ma mica troppo. I maroniani si aspettano una risposta, anche se i numeri sono a sfavore degli altri. Forse un gruppo sotto il palco per urlare «Bossi! Bossi!» se Maroni si palesasse sul palco, chissà. Nell’altra fazione invece, quella legata all’ex ministro, l’ordine di scuderia è «non provocare». Raccomandazione fatta soprattutto ai Giovani Padani, i più esuberanti che fanno capo a Matteo Salvini e Paolo Grimoldi. I giovani sono stati messi in fondo al corteo e invitati a non fare cori contro Rosi Mauro, Reguzzoni e Bricolo, anche se non si può escludere qualche sfottò sul tema Tanzania. Si punta a una «Varese 2», un secondo Maroni day, in piazza Duomo a Milano. Il bottino però stavolta, incassata da Bossi la testa del capogruppo, è riassunto nella parola che oggi verrà scandita molte volte: congressi, congressi, congressi! Rigorosamente al plurale, perché si è deciso di non insistere sul congresso federale (quello che può scegliere il prossimo segretario del partito) e di andare più cauti, iniziando dall’elezione dei nuovi capi di Lega lombarda, Lega veneta e Lega Piemonte. Questo sarà il tema del consiglio federale convocato in via Bellerio subito dopo il corteo. Se tutto andrà liscio, e la manifestazione sarà la vetrina di una Lega decisa a combattere il «governo dei banchieri» (il maroniano-romagnolo Gianluca Pini gli dà anche dei «fumati di cannabis» dopo le «quattro pirlate» di liberalizzazioni...) e non a scannarsi al suo interno, a Bossi verrà chiesto un calendario preciso per i congressi, che lui stesso ha detto si faranno. Un abbraccio di tutti sul palco sarebbe un bel risultato, dopo mesi di lotte tribali.
Per evitare disordini si sarebbe deciso di non far parlare Maroni dal palco, e nemmeno Calderoli (ma è probabile che poi Bossi li chiami su con sé), ma solo i governatori leghisti (Cota e Zaia), i segretari nazionali, forse qualche sindaco, con chiusura del capo. Il nuovo capogruppo alla Camera, Dozzo, non dovrebbe parlare, perché a quel punto dovrebbe farlo anche il capogruppo al Senato Bricolo (anche lui «cerchista»), con conseguente rischio di fischi. Idem per Rosy Mauro, poco amata dalla base, che intervistata da L’Ultima parola di Paragone ha detto: «Quelli a Varese non erano veri leghisti», una frase che molti si sono segnati sul taccuino. «Io non vado mai a denigrare i miei colleghi di partito anche se qualche matto lo abbiamo anche noi» dice la Mauro in una riunione a Monza, accusando «manovratori esterni» che puntano a dividere il movimento.
Per tutta la vigilia, però, sono circolati sms che col clima di pace c’entrano poco. Due su tutti, pare provenienti da deputati vicini all’ex capogruppo: «I congressi glieli facciamo fare al Niguarda», e poi «Maroni lo tiriamo giù dal palco, stiamo organizzando delle squadre», e non di ex Miss Padania. Voci incontrollate su tifosi del Varese chiamati da un consigliere regionale lombardo fedele a Reguzzoni e di body guard per Renzo Bossi. Questo si messaggiavano i colonnelli della Lega alla vigilia, per capire quanto sia elettrica l’atmosfera. Mentre «Velina verde», sito anti Maroni registrato in Islanda, lo attacca per i contratti della sua portavoce alla Camera e al Milan.
Moltissimi i conti da saldare. In Lombardia non si contano, e convergeranno nella guerra per la segreteria nazionale, dove il papabile è Giacomo Stucchi. In Veneto, una fatwa potrebbe colpire il sindaco di Verona, Flavio Tosi, deciso a presentarsi alle comunali di primavera con una sua lista civica.

Il segretario veneto Gobbo, vicino a Bossi, dice al giornale on line L’Indipendenza che «alle comunali non ci devono essere liste personali, e chi non gradisce è fuori», capito Tosi? Tante grane da risolvere. Oggi però il nemico è Monti e il suo governo. Tutti i fischi saranno per lui. Quasi tutti.

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