Da Cortina a Milano sognando uno spazzaneve

Da Cortina a Milano sognando uno spazzaneve

«Una nevicata mette il mondo fra parentesi». Esaurito con Brodskij l’aspetto lirico della faccenda, veniamo al sodo. Vale a dire alla necessità di svegliarsi a Cortina d’Ampezzo e di andare a dormire a Milano nel giorno della Grande Bufera di Neve. Quello che le radio - nuove punte di diamante dell’informazione italiana - definiscono ruggendo con moderazione da disc jockey: «Un brandello di apocalisse bianca». Epicentro, la pianura padana.
Così è con un pizzico di preoccupazione che ci prepariamo a salire in macchina alle 9.20 di mattina. Nevica, il termometro segna -5, ma a Cortina in gennaio è stranormale. Un po’ meno normale che la discesa con tornante che porta dal Grand Hotel Miramonti alla strada provinciale sia una pista di fondo. Il perchè lo spiega sorridendo il portiere: «Fa tanto colore». Anche la nostra Alfa Romeo 147 fa tanto colore: è rossa. Troppo sportiva per quel clima. Scivola di più, matematico. Nevica da 24 ore su tutto il Cadore, ma la strada - battuta sapientemente stile Engadina - è una coltre perfetta. Le gomme la accarezzano senza bisogno delle catene.
Da Cortina a Longarone a 40 all’ora, problemi zero. Solo qualche molesta Porsche Cayenne in sorpasso, per il resto è l’Italia gentile di montagna. Entriamo in autostrada sopra Belluno e fino a Vittorio Veneto la situazione è molto migliore di ciò che si sente alla radio. A Treviso un’occhiata di sole, a Mestre piove e girano solo le targhe dispari. Della neve c’è vaga traccia: una spruzzata su un prato, un campanile sbiancato come Pacini Battaglia ai tempi di Tangentopoli. Troppo poco per concordare con il notiziario: «Il Paese prigioniero della più grande nevicata degli ultimi vent’anni».
A Vicenza piove e c’è il solito cantiere aperto ai tempi di Italia ’90, sedici anni fa. Verona, Monte Baldo, Desenzano: dov’è l’uragano bianco? Quando ti accorgi che c’è sei a Palazzolo (Brescia). E ci sei dentro fino al ginocchio. Tra parentesi e senza catene. Un attimo prima asfalto liscio come un biliardo, un attimo dopo Wyoming. A Seriate, sotto una nevicata da «Fargo», le tre corsie diventano due. Poi una. Quelle di sorpasso si sono trasformate in un frastagliato pack da circolo polare che avanza verso le gomme senza metallo addosso. Tutti in fila indiana, autocisterne, camion che trasportano mucche, jeep da 150.000 euro e utilitarie congelate. E tutti leggono il cartello della Società autostrade: «Scusate per i disagi, stiamo realizzando la quarta corsia». Spalate la seconda, fenomeni.
Già, perchè l’ultimo mezzo spargisale e l’ultimo spazzaneve li avevamo visti a Pieve di Cadore (e una donnetta che usciva dal giornalaio ha rischiato di finire in salamoia). Negli autogrill c’è un composto caos. Un camionista sloveno compra nell’ordine: 14 bottiglie di coca cola, 11 panini Ischia (quelli con lo scoglio dentro), 5 pacchetti di biscotti Ringo, un ombrello, uno zaino e una copia di Max (c’è Monica Bellucci in copertina, con la neve non c’entra). Poi spiega: «Se più avanti ci fermiamo, posso resistere fino a domani».
Fra Bergamo e Milano la situazione è terrificante. Paralisi alle uscite perchè i caselli non smaltiscono il traffico, paralisi di mezzi pesanti sull’altra carreggiata. Velocità di crociera, 40 all’ora. E alla radio un tizio cinquetta: «La neve è politicamente corretta perchè anche gli operai possono comprarsi i doposci e usarli per andare al lavoro». Quando viene interrotto è troppo tardi, ma il seguito è anche peggio: i consigli di Piero Gros agli automobilisti. Proprio lui, che il giorno prima a Cortina, nello slalom fra veterani organizzato per celebrare la fiaccola olimpica, era caduto dopo tre porte. Piero Gros sulla neve non sta più neanche in piedi, che consigli volete che dia?
I fiocchi martellano l’autostrada più di quanto non riuscissero a fare la sera prima alla baita Piè Tofana, lassù sulle montagne, dove andava a passeggiare Indro Montanelli. Milano è un plumbeo agglomerato di igloo grigi, prova che lo smog è precipitato al suolo. Da quando siamo partiti sono passate cinque ore, neanche tante. La tangenziale è deserta. Dal Wyoming non si scappa, si continua in fila indiana verso piazzale Kennedy.

Gli unici colpi di vita, i sorpassi imbecilli con spruzzo di fango di una Bmw X5 e di un furgone di un noto autonoleggio; gente col cervello fra parentesi anche quando c’è il sole.
Dalla Grande Bufera è tutto. Al Séstrière, dove fra 13 giorni si disputano le olimpiadi, sono scesi volteggiando solo tre fiocchi. Un pregnante messaggio metafisico dev’esserci, però ci sfugge.

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