Le centinaia di migliaia di riformisti scesi ieri nelle strade di Teheran hanno tutte le ragioni a non fidarsi della decisione della Guida suprema Khamenei di sottoporre l'esito delle elezioni al Consiglio dei guardiani. Il Consiglio, infatti, è uno degli organismi più conservatori del regime e fa certamente parte del grande complotto che, secondo una ricostruzione che sta prendendo forma in queste ore, ha portato alla rielezione di Ahmadinejad. Domenica abbiamo scritto che ci sembrava inverosimile che il governo fosse riuscito a fabbricare in una notte i dieci milioni di schede che hanno diviso il presidente da Moussavi. Siamo stati ingenui: secondo le rivelazioni di un dipendente del ministero degli Interni al giornalista americano Roger Cohen, in realtà le schede non sarebbero mai state contate e il risultato (63% Ahmadinejad, 34% Moussavi) sarebbe stato predeterminato in partenza. Almeno due indizi sembrano confermare questa tesi: anzitutto, solo i dipendenti del ministero di provata fedeltà sono stati ammessi nell'ufficio elettorale centrale nella notte degli scrutini; in secondo luogo, i dati rilasciati dal ministero a mano a mano che - secondo la versione ufficiale - i voti venivano contati non presentano quasi nessuna variazione, che i dati provenissero da città e province fedeli ad Ahmadinejad o simpatizzanti di Moussavi.
Secondo questa ricostruzione, fino a dieci giorni fa Khamenei era persuaso che Ahmadinejad ce l'avrebbe fatta con le sue forze e che pertanto si poteva lasciare che le elezioni si svolgessero liberamente. Ma, dopo che ha visto crescere impetuosamente nelle strade di Teheran la presenza dei sostenitori di Moussavi, ha ascoltato i suoi discorsi sempre più eretici in materia di rapporti con l'occidente e diritti delle donne e ha preso atto della nascita di un'alleanza di ferro tra lo stesso Moussavi e gli ex presidenti Khatami e Rafsanjani, avrebbe dato ordine non solo di assicurare la vittoria di Ahmadinejad, ma di fornirgli anche una maggioranza schiacciante che gli conferisse un mandato assoluto, senza necessità di compromessi. I suoi fedelissimi sarebbero allora ricorsi a un metodo a suo tempo in voga solo in alcuni Paesi comunisti, quando servivano le famose maggioranze "bulgare": quello di ignorare il responso delle urne e fornire cifre di fantasia. Solo così si spiega, secondo gli analisti, come mai una elezioni che tutti consideravano incertissima si sia in realtà risolta in un "cappotto".
Khamenei avrebbe agito in base a due timori: da un lato, che l'elezione di un presidente riformista sull'onda di imponenti dimostrazioni di piazza portasse - nonostante il suo ferreo controllo - a unautentica svolta sia in politica estera sia in politica interna; dall'altro, che, sulla spinta del mandato popolare, il nuovo presidente accogliesse le profferte di dialogo di Barack Obama e rimettesse così in discussione la politica egemonica di Teheran nel Medio Oriente.
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