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"Così è cambiata la città da Babilonia sino a noi"

Lo storico dell'architettura ci accompagna lungo la storia del luogo umano per eccellenza

"Così è cambiata la città da Babilonia sino a noi"

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Cesare de Seta (classe 1941) è professore emerito di Storia dell'architettura all'Università degli studi di Napoli Federico II e fondatore del Centro interdipartimentale di ricerca sull'iconografia della città europea. Ha scritto innumerevoli e capitali saggi e volumi sulla storia della città e del territorio, tra i quali La città. Da Babilonia alla Smart City (Rizzoli). Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la storia e il destino delle città, dall'antichità sino alle tanto vagheggiate smart city.

Professor de Seta, come definire la città?

«La città è oggetto di una sterminata letteratura che ha interessato archeologi, storici, urbanisti, geografi, architetti, demografi, economisti, igienisti, sociologi, statistici.... Quindi il tema è molto complesso. Per limitarci alla parola potremmo dire che il termine città, derivante dal latino civitas, riunisce in sé sia il significato originario di insieme dei cittadini, legato al concetto di civile convivenza, sia quello acquisito, per estensione, di luogo di residenza dei cives. Nella cultura classica, infatti, la civitas come corpo sociale è distinta dall'urbs, parola con cui viene indicata la realtà fisica del costruito».

E come si sviluppano le prime città?

«Si sviluppano in aree fertili, lungo grandi fiumi e vaste pianure coltivabili o in snodi che costituiscono passaggi commerciali obbligati. Nella civiltà occidentale la città diviene un organismo collettivo che raccoglie una popolazione caratterizzata da una specifica composizione sociale ed etnica, legata all'ambiente circostante. Sono questi vincoli che giustificano l'estensione del termine città dalla comunità urbana al luogo dell'insediamento. Lo spiegava già Isidoro di Siviglia nel Sesto secolo: La città è una moltitudine di uomini uniti da un vincolo societario che prende nome dagli stessi cittadini».

La città è anche un meccanismo produttivo complesso...

«L'aspetto rilevante è la stratificazione della popolazione, tanto da far ritenere a molti che sia questo l'elemento indispensabile affinché un insediamento diventi una città. Dal Messico alla Cina le città nascono, in tutte le epoche, lì dove c'è un'eccedenza di produzioni e quindi la necessità di scambiare merce. La città è un luogo di incontro e di commercio».

L'Occidente ha poi un suo tipo di città molto particolare, la polis, che è anche un'entità politica...

«La polis e il comune medievale non hanno corrispondenti al di fuori dell'Occidente. In entrambi i casi, quello della Grecia classica e quello medievale, si crea un'autorità politica alla cui nomina partecipano i cittadini in quanto tali».

Ovunque, con lo sviluppo delle civiltà, la città diventa centrale, giusto?

«La città è stata definita come la più grande invenzione dell'uomo. Non si deve per forza sposare una forzosa interpretazione urbanocentrica dello sviluppo, ma è indubbio che la città eserciti sempre più una funzione centrale sul territorio che la circonda. Tale potere, che è sempre esistito, ha ricevuto un forte incremento grazie allo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa. Non bisogna però dimenticare che l'enorme aumento della popolazione urbana ha anche provocato il peggioramento delle condizioni di vita in molte città di oggi».

La città contrapposta alla campagna?

«La città è il luogo artificiale per eccellenza. Ma è sbagliato considerare la città come una scacchiera o un tavolo da biliardo. Ogni città dipende dal territorio in cui si trova. La nervatura geografica di ogni città, se vogliamo fare dei discorsi sensati va sempre sottolineata, non si può prescindere dal contesto».

Si usa molto la locuzione Smart City negli ultimi anni. Perché?

«Le megalopoli pongono problemi che vanno affrontati a livello politico. Si lavora molto ad esempio per diminuire la densità abitativa, ci sono progetti di questo tipo a Berlino, Parigi a Londra. Ma non basta ridurre la densità perché, per fare un esempio, Los Angeles è strangolata dal traffico automobilistico mentre New York ha in parte risolto il problema nonostante la sua alta densità con una rete di trasporti pubblici efficiente e costantemente ammodernata. Si riflette molto su questi temi e su come sfruttare al meglio le tecnologie. Al momento siamo nel limbo delle buone intenzioni e quel che si vede nei rendering che scorrono su internet non è certo esaltante. La cosa importante sarebbe andare verso un'architettura dinamica, modellata sulla vita che si svolge nella città».

Non è semplice.

«Il problema è che la società globale, con le enormi sfide che ci pone, dovrà convivere in una rete urbana distribuita. È da respingere la tendenza a rinchiudersi in città fortificate.

Si portano dietro un'idea di segregazione».

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