«Così cambierà la missione dei soldati italiani in Irak»

Fausto Biloslavo

da Nassirya

Sotto il suo comando la missione italiana in Irak cambierà volto: a giugno mille soldati non verranno rimpiazzati e a fine anno ci sarà il ritiro completo. Il generale Natalino Madeddu, 50 anni, comanda la Brigata meccanizzata Sassari, che si coprì di gloria già nelle trincee della Prima guerra mondiale. Concede a il Giornale quest’intervista esclusiva nel «fortino», il quartier generale della missione «Antica Babilonia».
La missione sta per cambiare volto passando da un ruolo principalmente militare alla creazione di un Prt, il centro di ricostruzione provinciale già sperimentato in Afghanistan. Può spiegarci di che cosa si tratta?
«Il Prt è una struttura gestita da funzionari civili che ha come obiettivo la ricostruzione del Paese e il sostegno alle autorità locali. Questo non significa che i civili agiranno in maniera completamente autonoma rispetto al lavoro già svolto dal contingente, ma si tratterà piuttosto di una prosecuzione. La costituzione del Prt sarà formalizzata a giorni con l’arrivo in teatro del responsabile che è un italiano (Ugo Troiano, proveniente da un’agenzia dell’Onu nda). L’attività militare italiana ha come termine ultimo la fine dell’anno, quindi il Prt assumerà lentamente una propria autonomia nel corso dei prossimi mesi».
Il ritiro a fine 2006 sarà completo?
«Sono state individuate due tappe fondamentali: la prima con il ripiego di 1.000 unità nel corso del prossimo avvicendamento nel mese di giugno ed entro la fine dell’anno il ritiro completo della missione militare».
Chi garantirà la sicurezza del Prt nel momento in cui i militari se ne andranno?
«L’auspicio è che le autorità locali siano in grado di garantire una generale condizione di tranquillità nell’intera provincia di Dhi Qar. In buona sostanza il Prt si appoggerà significativamente alle forze di polizia locali, nonché all’esercito iracheno».
In caso di necessità è prevista la presenza di un contingente italiano ridotto in difesa del Prt?
«Posso pensare a un’aliquota che rimanga sul posto e garantisca sia la sicurezza sia il sostegno logistico».
Non si tratterebbe più della vecchia missione Antica Babilonia...
«Il ministro della Difesa Antonio Martino ha parlato di una «Nuova Babilonia», quindi di una missione ben più protesa verso la ricostruzione, ma con l’impiego di un apparato militare di sostegno. D’altro canto, non è pensabile a un Prt che non goda delle condizioni minime di sicurezza per poter operare».
Il 9 aprile i soldati italiani all’estero voteranno per la prima volta nella storia della Repubblica. Come si svolgerà il ricorso alle urne?
«Tutti avranno la possibilità di votare grazie a una busta sigillata, che contiene la scheda. Le buste sigillate verranno dall’Italia con una trasporto aereo ad hoc e consentiranno al personale non soltanto presente a Nassirya, ma pure a Bassora e a Bagdad, di votare. Siamo all’incirca 2800, massimo 2900, gli aventi diritto. Non verrà istituito un seggio vero e proprio, ma ciascuno riceverà la busta con la scheda, esprimerà il suo voto e risigillerà la busta. Entro il 7 aprile tutte le buste saranno a Roma».
Recentemente un attentato suicida contro la polizia di Nassirya è stato rivendicato dal gruppo terroristico di al Zarqawi. Esiste ancora il pericolo di attentati contro gli italiani?
«Non si può escludere che i movimenti terroristici possano portare attacchi imprevisti contro strutture militari o comunque contro il contingente. Per questo motivo ci impegniamo moltissimo nell’attività di intelligence, al fine di percepire i segnali di un’eventuale presenza tesa in qualche modo a colpirci».
Ogni tanto nelle piazze italiane echeggiano slogan come «10, 100, 1000 Nassirya».

Che cosa prova come soldato?
«È molto difficile dare una risposta per chi quel giorno stava a Nassirya e ha visto i corpi dei propri uomini esanimi. Quindi ci colpiscono particolarmente, però non ci abbattono. Questi slogan appartengono a gente che probabilmente non capisce il senso di quello che sta dicendo».

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