Così la comunicazione condiziona gli italiani

La politica sembra annegare in un pantano di incertezze angoscianti che alimentano nel cittadino la convinzione sull'inevitabile dissoluzione del Paese. Ecco cosa c'è dietro

La politica italiana sembra ormai annegare in un pantano di incertezze angoscianti che alimentano nel cittadino la lugubre convinzione circa l'inevitabile dissoluzione del Paese storicamente più titolato al mondo.

Svariate sono le cause di tale sfacelo psicologico: talune fondate, come la persistente crisi economica, la fragilità e irrazionalità della costruzione europea, le martellanti notizie sul calo del reddito, dell’occupazione, dei consumi e della vitalità delle imprese, drammaticamente confermata dai ripetuti suicidi degli imprenditori.

Esiste tuttavia anche una causa, impalpabile ma insidiosa e soffocante, rappresentata dalla malsana natura della comunicazione istituzionale e politica. E stranamente il fenomeno va assimilato all’utilizzo abusivo, da parte dei comunicatori, di alcuni appigli offerti dalla grammatica italiana che spesso consentono loro di cavarsela senza danni immediati.

Si tratta in sostanza dell’uso asfissiante, nelle promesse di azione, della comoda scorciatoia dei “verbi servili”, che illustrano, senza impegno per il comunicatore, la “necessità” o la “opportunità” o la “possibilità” di fare qualcosa, trascurando tuttavia la definizione delle modalità o dei tempi di realizzazione.

I verbi servili consentono quindi al comiziante o all’istituzione (anche ad alto livello) di fare la loro “sporca figura” sfuggendo, con modi elusivi, alle domande dei cittadini, le cui legittime richieste di chiarimento sono bloccate dalla vaghezza della proposta.

Abbondano così le segnalazioni impegnative: “bisogna” curare la disoccupazione giovanile, si “devono” costruire gigantesche opere pubbliche, “occorre” risolvere il problema della evasione fiscale, “è necessario” aumentare la produttività della macchina statale e via discorrendo.

Avanti quindi con l’utilizzo smodato dei verbi servili che consentono al comiziante, in uno stato di gradevole euforia e di disimpegno, di proporre progetti affascinanti senza definire tuttavia le proibitive limitazioni inerenti, come le carenze (magari finanziarie) da colmare, le insuperabili ristrettezze di tempo, gli ostacoli frapposti da una maligna burocrazia, i nascosti sabotaggi della parte politica avversa.

A conferma del ruolo importante che la grammatica può giocare in politica, l’ignoto creatore della suddetta grammatica ha predisposto due sbarramenti all’abuso dei “verbi servili”, molto temuti dai politici: gli avverbi “come” e “quando”. E in effetti il comiziante è ossessionato dal timore che, a conclusione della sua esposizione, il pubblico(o il lettore)possano domandare con l’ausilio del “come” e del “quando” chiarimenti su qualcuno dei punti fantasiosi che affollano il progetto.

Tuttavia, nel caso in cui il salvataggio dei” verbi servili” non funzionasse e i due letali” avverbi” irrompessero durante il suo intervento, il comiziante, come extrema ratio, potrebbe aggrapparsi ad un’altra risorsa grammaticale, ossia ad un verbo citato al “condizionale”. Tale modo è notoriamente arrendevole e spesso efficace come salvataggio per pericolanti istituzioni o uomini politici: “bisognerebbe”, “si dovrebbe”...

Pure se apparentemente paradossale, l’istituzione di una specie di verifica statistica sugli abusi di verbi servili da parte delle Istituzioni e politici nelle loro esternazioni, potrebbe suscitare uno stimolo alla concretezza, con più attenzione all’uso dei

salvataggi grammaticali e la conseguente maggiore serietà della proposta politica.

Magari ispirandosi alla concretezza degli Imprenditori , in attesa da decenni che la parola “Impresa” compaia finalmente nella nostra Costituzione.

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