Così De Chirico crea la «realtà» in punta di matita

«I punti, aiutati dai tratti, s’agganciano l’uno all’altro; i tratti, chiusi dai punti, si sentono al sicuro; ogni segno della misteriosa scenografia è a casa, felice. Così nascono gli spettacoli disegnati». È una sorta di manifesto poetico quello con cui, nel 1941, Giorgio De Chirico racconta le incisioni per l’Apocalisse di Giovanni, e, più ancora, testimonia e ribadisce l’interesse per il disegno, genere che considera autonomo rispetto alla pittura e capace di rivelare l’anima dei soggetti. Alla produzione di disegni dell’artista è dedicata, nel trentennale della morte e a centoventi anni dalla nascita, la mostra «La magia della linea», che, come spiega il sottotitolo, riunisce «110 disegni di De Chirico dalla Fondazione Giorgio e Isa De Chirico», fino al 19 aprile al museo Bilotti, dove è già esposta una collezione permanente di opere dell’autore. Tra linee finite e non finite, soggetti grotteschi e drammatici, lavori monocromatici e «acquerellati», un viaggio nella produzione disegnata di De Chirico in un’evoluzione di tratto e pensiero. Dai lavori metafisici, prestati dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a quelli d’ispirazione classicista, dai nudi agli studi sui gladiatori, ora grotteschi, ora metafora di una più ampia meditazione sulla vita, dalle opere realiste - si ritrae come Cristo sul Calvario - a quelle dove evidente è il dialogo con il Barocco, per arrivare alla neometafisica. Senza trascurare i Bagni Misteriosi degli anni Trenta, le incisioni per l’Apocalisse, oltre a scene e figurini per il teatro, ai quali è dedicata un’intera sezione arricchita dai costumi, recentemente acquisiti dalla Fondazione e mai esposti prima.
«De Chirico rovescia la nostra concezione del disegno - spiega la curatrice della mostra Elena Pontiggia - che comunemente si tende a considerare di serie B. Per lui è un genere a sé stante, un’arte, che definisce magica. La linea in natura non esiste, è una creazione dell’uomo e il disegno ha la capacità di cogliere il profilo immutabile delle cose». Un’arte «divina», quindi, capace di penetrare gli oggetti e rivelarne le profondità. Di questa magia della linea, da cui prende spunto e titolo l’esposizione, De Chirico prende coscienza intorno al 1915. Già a 12 anni frequentava un corso di disegno ad Atene e vedeva in esso una sorta di tirocinio per l’attività futura. Il disegno qui era studio per dipinti da realizzare. Poi diventa opera. Perfino più interessante e completa di quella pittorica. Il colore veste la realtà, il disegno la crea lasciandola emergere, come per incanto appunto, da un foglio di carta. Ed è quell’incanto, frutto di magia e tecnica, che lo seduce da bambino, quando cerca di apprenderne i segreti dal padre e dal maestro, e poi, di nuovo, quando, adulto, ne teorizza il potere, in un certo senso, demiurgico: in un’opera profonda a parlare sono «le linee, le forme dell’eternità e dell’infinito». Tra i lavori più interessanti, La casa del poeta, con inserti in acquerello - si ipotizza la mano di De Pisis o un intervento successivo di De Chirico - in cui è palese l’originalità di una produzione che affianca per dignità e valore quella pittorica. Il disegno per l’artista è visione.

Non del fantastico ma del profondo. Della realtà invisibile agli occhi, più «reale» dell’orizzonte stesso. L’esposizione rientra nella serie di eventi, con i quali, sotto la guida di Achille Bonito Oliva, Roma renderà omaggio all’autore fino al 2010.

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