Così funziona negli Stati Uniti il sistema che Barack vuol cambiare

Negli Stati Uniti incombe il voto sulla riforma sanitaria e la popolazione è divisa. Nello stesso Congresso vi sono, tra i democratici, degli indecisi che, se dovessero votare assieme ai repubblicani contro la riforma, la bloccherebbero. Le ripercussioni, anche politiche, sarebbero enormi: difficilmente nelle elezioni di novembre i democratici manterrebbero la maggioranza in Parlamento. Ma da che cosa nasce un dibattito così polarizzato? La sanità è una delle note dolenti di questo Paese e per spiegarne i difetti è utile rifarsi all’esperienza vissuta.
Qualche anno fa in Alto Adige mia moglie è disarcionata dal cavallo. Al pronto soccorso dell’ospedale di Bressanone le fanno diverse radiografie e risulta che ha cinque costole rotte. Poco dopo le fanno anche delle Tac. Le assegnano una stanza e la tengono sotto osservazione per due giorni. Infine la dimettono: non vi sono state complicazioni; le fratture, in sede, calcificheranno. Chiedo il conto: 0 euro.
Qui a Washington nostro figlio l’anno scorso è coinvolto in un incidente stradale. L’ambulanza lo trasporta al pronto soccorso. Gli fanno due Tac, con le quali accertano che non ci sono ossa rotte né ferite interne. Lo tengono in ospedale cinque ore e poi lo dimettono. Ci arriva il conto: oltre 9.000 dollari. Poi ci arriva quello dell’ambulanza: quasi 600 dollari per tre chilometri. Infine quello dei vigili del fuoco, arrivati sulla scena anche se non hanno dovuto intervenire: 500 dollari.
Le situazioni sembrano estreme, eppure rientrano nella norma dei rispettivi Paesi. E ce n’è un’altra, più ambigua. In un incidente stradale in Virginia mi rompo la clavicola in due monconi. La segretaria dell’ortopedico mi presenta due parcelle per l’intervento chirurgico: 6.000 dollari se pago di tasca mia, 12mila se paga la mia assicurazione.
Negli Stati Uniti le visite a domicilio del medico di famiglia non esistono più da oltre trent’anni, e cioè da quando certi medici in California si resero conto che nel tempo impiegato per visitare un paziente a casa potevano vederne cinque in studio. Perciò anche con la febbre alta bisogna recarsi in studio, puntualmente sovrafollato. Lo stesso vale per i bimbi se devono andare dal pediatra. Se poi il medico prescrive medicine per la pressione alta, il colesterolo e così via, milioni di americani le comprano per corrispondenza in Canada, ove costano un terzo. Il fenomeno è talmente diffuso che diverse lobbies hanno fatto pressione per conto dei loro clienti - multinazionali farmaceutiche - in modo che fosse promulgata una legge che dichiari coloro che acquistano medicine all’estero criminali. La legge è entrata in vigore recentemente, ma milioni di «criminali» continuano a comprare le medicine a nord.
Poi si sconfina nel paradosso: il «nullatenente» ha diritto d’essere ricoverato in ospedale e curato senza spendere un centesimo. Mentre a Mr. Smith - signore tipo d’estrazione borghese che fa fatica a pagare il mutuo, le rate dell’auto, le tasse, la retta dell’università dei figli e non può quindi permettersi l’assicurazione medica privata - non essendo nullatenente viene negata l’assistenza medica gratuita o facilitata.
Morale: quasi 50 milioni d’americani non hanno assicurazione medica. Come mai l’opinione pubblica rimane così divisa sull’argomento? C’è molta disinformazione. Una delle prime tattiche utilizzate dal Partito repubblicano è stata quella del «death panel» (giuria della morte): la stessa Sarah Palin ha scritto sulla propria pagina di Facebook che la riforma del presidente Obama prevede giurie della morte che hanno il potere d’uccidere gli anziani e le persone disabili. A presentarlo così sembra un principio addirittura nazista, ma in molti vi hanno creduto. Poi, è stato evocato lo spettro del socialismo e del comunismo, che in questo Paese suscita profonda diffidenza. La proposta della «public option» (opzione pubblica) è stata subito accantonata. Si trattava d’offrire la possibilità al paziente di scegliere fra l’assistenza pubblica e quella privata. Così facendo, i costi assicurativi pubblici si sarebbero rapportati a quelli privati, inevitabilmente abbassando questi ultimi. Invece la proposta è stata interpretata come un’ingiunzione dello Stato tiranno che obbliga tutti i cittadini a essere assicurati anche contro la propria volontà. Infine ci sono i giovani, milioni dei quali non sono assicurati sia perché non possono permetterselo sia perché si sentono invulnerabili.
A complicare le cose c’è il numerus clausus (numero chiuso) appoggiato dall’American Medical Association, che limita la produzione di medici a cominciare da una politica inflessibile nell’ammissione di studenti alle facoltà di medicina. Diventare medico in America è un’impresa.
Tre sono i gruppi d’interesse che concorrono a rendere carissima l’assistenza: la citata American Medical Association, le ditte farmaceutiche, e le compagnie d’assicurazione. È nell’interesse di ciascun gruppo che i costi rimangano altissimi e anzi continuino a lievitare. Eppure già esiste un ente governativo che si occupa della salute dei cittadini al di sopra dei 65 anni: il Medicare, istituito nel 1965 dal presidente Johnson. In più c’è il Medicaid, un altro programma governativo per cittadini e residenti dal reddito basso. Entrambi causano il risentimento della coppia media pensionata che paga oltre diecimila dollari d’assicurazione all’anno, più le varie percentuali per ogni visita medica («co-payments»), ma che gode di buona salute e si domanda perché mai debba continuare a sborsare soldi. Insomma, un vero garbuglio per il quale intravedo un’unica via d’uscita: l’abbattimento dei costi. Se vi fossero molti più medici, vi sarebbe più offerta per la richiesta e perciò, secondo le leggi di mercato, i prezzi calerebbero vertiginosamente.

Anche le medicine dovrebbero e potrebbero costare molto meno. Le compagnie assicurative offrirebbero polizze alla portata del cittadino medio. Il tutto senza l’intervento del governo, che risulterà sempre odioso agli americani.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica