Politica

Così i leghisti vogliono dettare le condizioni all’Udc

Roma - «Mettiamo fieno in cascina», sintetizza con una risata un ministro leghista, ben conscio che il sali e scendi di toni delle ultime ore non è certo il frutto di un’errata interpretazione dei giornali come si è affrettato a dire davanti alle telecamere Umberto Bossi. La strategia, d’altra parte, è testata e piuttosto nota agli addetti ai lavori. E prevede che nei passaggi più delicati, quando sul tavolo si giocano partite importanti, la Lega faccia valere tutta la sua forza, quella dei numeri ma anche quella mediatica ben amplificata dagli appuntamenti più tradizionali (Pontida, Venezia e, appunto, Ponte di Legno). E così è stato in questi giorni, nei quali il Senatùr ha deciso di giocare in contropiede dopo che nell’ultimo mese il governo ha concentrato il dibattito sul piano di rilancio per il Mezzogiorno, dando voce ai «leghistoscettici» della maggioranza. Che dopo le perplessità - celate o dichiarate - sul fatto che il Carroccio ha saputo capitalizzare al meglio un anno di azione di governo - e qui il merito è anche di un gruppo dirigente agguerrito e preparato - ora iniziano a guardare a una possibile intesa con Pier Ferdinando Casini alle regionali come a un toccasana contro gli eccessi leghisti. Per dirla con le parole del viceministro Adolfo Urso, «l’alleanza con l’Udc è naturale» e «ridurrebbe il peso della Lega».

Il punto è che sono in molti a pensarla come Urso, non solo tra gli ex di An. Una convinzione che si intreccia a doppio filo con il dialogo in corso tra Pdl e Udc in vista della tornata amministrativa di fine marzo. Se è vero che qualunque decisione sarà presa d’intesa con il Carroccio - «decideranno come sempre Berlusconi e Bossi», spiega un ministro del Pdl - è innegabile che per il Senatùr sarebbe davvero difficile porre un indiscriminato veto politico sui centristi. Lo si può fare a un comizio, certo, ma non a un tavolo di trattative e con la consapevolezza che l’Udc può essere determinante e cambiare le sorti della tornata elettorale. Se in Lombardia e Veneto sono ininfluenti, infatti, ci sono regioni come la Campania, la Puglia, il Lazio, la Liguria e il Piemonte dove Casini e compagni sono decisivi o rischiano comunque d’esserlo. Bossi, che è animale politico, lo sa bene. E sa che la tenuta del governo dipende anche dal risultato delle regionali. Che saranno determinanti anche negli equilibri interni alla Conferenza Stato-Regioni, organo che ha un forte potere di interdizione rispetto all’azione del governo. È lì che spesso si discutono le questioni federaliste tanto care al Carroccio e il Senatùr sa bene che se fosse presieduta da un alleato invece che dal pd Vasco Errani potrebbe essere tutto più facile. Anche per questo, insomma, un’intesa con l’Udc potrebbe essere necessaria. Magari non omogenea come vorrebbero in molti nel Pdl, ma regione per regione. Escludendo quindi le roccheforti del Carroccio.

Bossi alza i toni anche per questo. Per mettere nero su bianco che lui e Casini non hanno niente da spartire e pure per dire chiaro e tondo all’Udc che la Lega non è disposta a cambiar pelle. Se accordo sarà, insomma, le condizioni del Carroccio sono queste. «Fieno in cascina», appunto.

Perché, dice il vicepresidente dei deputati del Pdl Osvaldo Napoli, Bossi «intravede i confini della sua espansione politica».

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