Così i musulmani cancellano i cristiani in Medio Oriente

Dalla Turchia all’Irak, dal Libano alla Palestina, il loro numero si è drasticamente ridotto. Il calo maggiore nel Paese che il Papa sta per visitare: Ankara, col genocidio armeno, li ha quasi azzerati

Andrea Tornielli

«Non vogliamo niente di più che i nostri diritti. Al momento della proclamazione della Repubblica turca i cristiani ortodossi qui erano 180.000, oggi sono meno di 5.000. Chiedetevi il perché». Con queste parole il patriarca Bartolomeo I aveva concluso il suo intervento incontrando a Istanbul un gruppo di giornalisti per parlare della prossima visita del Papa in Turchia. I numeri parlano chiaro e evidenziano le difficoltà che in questa come in altre zone del mondo, in Paesi a maggioranza islamica, vivono i cristiani. Fino a cento anni fa, in Turchia esisteva la comunità proporzionalmente più numerosa di cristiani in Medio Oriente, mentre oggi è la più ridotta.
«Dai circa due milioni di cristiani all’inizio del Novecento, un quarto della popolazione anatolica», ha scritto su Avvenire Camille Eid, «si è arrivati a soli 115.000, appena lo 0,15%, quasi tutti concentrati nei grandi centri di Istanbul, Smirne e Mersin». Si tratta, per buona metà, di fedeli della Chiesa apostolica armena, posti sotto l’autorità di un patriarca residente a Istanbul, dove la comunità gestisce ancora 35 luoghi di culto, ma con un seminario chiuso dal 1971. Seguono le comunità cattoliche, che contano 30.000 fedeli in tutto, principalmente latini, ma anche armeni, siriaci e caldei. Circa 20.000 sono protestanti, seguiti da diecimila siro-ortodossi, «solo un decimo del numero presente un secolo fa nella zona meridionale di Tur Abdin». I greco-ortodossi sono invece circa 5.000 soltanto, anche se proprio qui, nel quartiere del Fanar, si trova la «Santa Sede» dell’ortodossia, dato che il patriarca Bartolomeo I esercita un primato d’onore su tutto il mondo ortodosso.
Le due maggiori comunità cristiane dell’ex Impero ottomano sono state decimate una dal genocidio degli armeni deciso a tavolino dal governo «laico» dei Giovani Turchi, che li che accusava di connivenza con il nemico russo, l’altra dallo scambio tra popolazioni «greche» e «turche» (un milione e 344.000 cristiani ortodossi ricondotti in Grecia contro 464.000 musulmani rinviati in Turchia), sancito dal Trattato di Losanna del 1923.
A Istanbul, che pure ha conservato la memoria del suo essere capitale della Chiesa orientale, si concentrano alcune migliaia di cristiani, ma la «fuga» è costante. Erano 136mila nel 1927, 86.000 nel 1965, sono 70.000 oggi. «La scomparsa delle chiese - ha scritto Eid - è andata di pari passo con la riduzione di tutte le istituzioni benefiche gestite dalla Chiesa (ospedali, ospizi, scuole) dovuta sia al progressivo venire meno del personale sia a gravami economici imposti dallo Stato. Numerosi ostacoli rendono difficile la vita delle comunità cristiane in un Paese che, tutto sommato, si definisce “laico”: dall’assenza di personalità giuridica alle restrizioni al diritto di proprietà, e dalle ingerenze nella gestione delle fondazioni all’impossibilità di formare il clero, senza dimenticare la sorveglianza poliziesca esercitata sui cristiani». La legislazione turca non rende facile la vita neanche alla Chiesa cattolica. Non è ancora stato trovato, infatti, uno statuto che le permetta una esistenza legale e giuridica.
Se la situazione della Turchia è la conseguenza di un genocidio e di decenni di legislazioni, quella di altri Paesi dell’area come Irak, Giordania, Libano, Sudan, ma anche Terra Santa è stata provocata dagli eventi più recenti. Tragico è l’esodo dall’Irak, dove nel 1987 i cristiani – che convivevano da molti secoli con i musulmani – da 1.400.000 si sono ridotti a 800.000, come riferisce Yonadan Kanna, l’unico membro cristiano del Parlamento iracheno. Nella chiesa cristiana della Vergine Maria, a Bagdad, padre Khossaba fa vedere i tanti certificati di battesimo consegnati ai parrocchiani che lasciano il Paese e hanno bisogno di attestare la loro appartenenza religiosa per il visto. A volte più di cinquanta a settimana.
Anche la situazione in Terra Santa, oggetto del libro «Tramonto del cristianesimo in Palestina», scritto della giornalista Elisa Pinna, è difficile. Un secolo fa erano il 10% della popolazione tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Oggi sono meno del 2%: circa 130.000 in Israele e 50.000 nei Territori e a Gaza. Tra i problemi che la presenza cristiana incontra nella terra di Gesù c’è anche quello del fondamentalismo.

Il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, ha detto che «quasi ogni giorno, lo ripeto, quasi ogni giorno, le nostre comunità sono vessate dagli estremisti islamici in queste regioni. E se non sono gente di Hamas o della Jihad islamica, avviene che ci si scontri con il muro di gomma dell’Autorità Palestinese, che fa poco o nulla per punire i responsabili».

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