Così l'abolizione dell’immunità ha consegnato l'Italia alle toghe

Con la riforma fatta sull'onda di Tangentopoli si rovescia il rapporto tra poteri: magistrati liberi di accusare i parlamentari stravolgendo il voto

Così l'abolizione dell’immunità 
ha consegnato l'Italia alle toghe

Mazziato dai giudici costituzionali e tra breve inseguito dal giudice penale, il Cav continua a dire imperterrito che lui è stato votato dagli italiani, che quindi rappresenta la volontà popolare e che perciò va avanti.

Il premier sembra non avere ancora preso atto che in Italia la sovranità non è più degli elettori. È vero che la Costituzione dice, «la sovranità appartiene al popolo», fin dal primo articolo per sottolineare che questo è il principio base della nostra convivenza. Ma è un’affermazione vuota. Lo è da quando - 16 anni fa - è stata abolita l’immunità parlamentare degli eletti. Con quella baggianata la Carta repubblicana ha cambiato completamente natura. Il rapporto tra i poteri dello Stato si è rovesciato e il popolo sovrano è rimasto in braghe di tela.

Cos’era la vecchia immunità voluta dai padri costituenti del 1948 e oggi cancellata? Trascrivo, dall’articolo 68 in vigore fino a novembre del 1993, la parte che ci interessa: «Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale». Ossia un giudice non poteva indagare su un deputato o un senatore se prima non aveva ottenuto il via libera o della Camera o del Senato. Era questa la prima e principale prerogativa dell’essere parlamentare: immunità dal processo durante il mandato per poterlo svolgere liberamente e rinvio dell’inchiesta che lo riguardava alla scadenza della legislatura. Esattamente quello che prevedeva il Lodo Alfano per le quattro alte cariche.

Oggi, quel capoverso non c’è più. I tribunali possono imbastire processi in ogni momento, i parlamentari trasformarsi in imputati dal giorno alla notte e le Camere non possono metterci bocca. Detto altrimenti: prima a decidere le sorti dell’eletto erano gli altri eletti che, essendo i fiduciari del popolo, rappresentano la mitica sovranità popolare. Ora, l’ultima parola spetta ai giudici che con la volontà dell’elettore non c’entrano un piffero. La fine dell’immunità ha stravolto la Costituzione traslando alle toghe la sovranità che apparteneva al popolo. Prima decidevamo noi chi dovesse rappresentarci nel corso della legislatura, oggi i tribunali sono liberi di annichilire quelli che avevamo scelto.

Giorni fa, mi ha fatto ridere Casini. Bocciato il Lodo Alfano, da più parti si è ipotizzato di reintrodurre l’immunità vecchia maniera che si applicherebbe pure al Cav in quanto deputato. Pierferdy ha fatto il fichetto e - parola più parola meno - ha detto superiore: «Con tutti i problemi degli italiani, crisi, disoccupazione, eccetera sarebbe follia perdere tempo con l’immunità». Il classico ragionamento a pera. Come li affronti i problemi se azzoppi il governo inchiodando in tribunale chi lo guida? E se poi lo condannano che si fa? Lo capisci o no che se il Cav è dichiarato colpevole, è un premier dimezzato? Ti viene in mente che se è colpito lui, lo è anche il governo, lo sono tutti quelli che lo hanno votato, lo è il Paese che resta impantanato e senza timone?

Immaginiamo che Berlusconi non trovi in primo grado il giudice a Berlino - il che è praticamente certo con le toghe che ci ritroviamo - e sia condannato a tot anni nel processo Mills per corruzione in atti giudiziari. Vero che ci sono altri due gradi di giudizio e alla fine - glielo auguriamo- sarà assolto. Ma intanto? A parte che potrebbe essere psicologicamente frustrato - e in queste condizioni si lavora di peste -, ma come ci andrà in giro per il mondo da pregiudicato? Malissimo, è la risposta. A testa china, dovendosi giustificare con i Sarkozy, le Merkel, gli Obama e col rischio che qualcuno si rifiuti di riceverlo o stringergli la mano. All’estero - grazie al lavorio della sinistra italiana - c’è chi non aspetta altro.

Resta la speranza che il giudice berlinese faccia capolino fin dal processo di primo grado. Comunque, questi patemi d’animo non ci sarebbero se avessimo ancora la Carta del '48 voluta da costituenti proprio per evitarli. Ci avevano lasciato un edificio in cui la politica era autonoma e non sottomessa al capriccio delle toghe. Quasi tutti quelli che oggi rifiutano la reintroduzione dell’immunità - che in ogni caso per il Cav arriverebbe probabilmente fuori tempo massimo - sono quelli che l’hanno affossata nel '93 con proposte firmate da Violante, Fini, Castagnetti e altri tuttora sulla breccia.

C’era Tangentopoli, hanno avuto paura, volevano fare i virtuosi e hanno detto incoscienti: processateci pure. Hanno svenduto la libertà della politica come se fosse cosa loro e non lo era. È noi che hanno buggerato togliendoci il solo potere che avevamo: il voto, cioè la sovranità popolare. Pavidi, insipienti e scippatori.

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