Roma - Il «nuovo Ulivo» è appena nato (forse) e già scoppia la guerra con l’Udc. Antonio Di Pietro dà della «escort della politica» a Pier Ferdinando Casini, e quello gli replica ricordandogli di quando, da pm, «si affannava a restituire soldi nelle scatole da scarpe ai suoi imputati». Insulti sanguinosi, con il Pd che si ritrova strattonato tra i suoi due potenziali alleati - dichiaratamente inconciliabili - che si accapigliano.
L’improvvisa decisione di Pier Luigi Bersani, che venerdì sera è andato a sorpresa a Vasto per il pubblico summit a tre con Tonino e Nichi Vendola, organizzato dal leader di Italia dei valori, ha irritato assai Casini; ma ha anche spiazzato buona parte del Pd. Fino al giorno prima pareva che il segretario avesse rinunciato a partecipare all’incontro, che inevitabilmente sarebbe stato letto (Di Pietro non aspettava altro, e infatti ieri cantava vittoria: «Ora Bersani ha preso un impegno davanti al Paese») come il suo definitivo imprimatur al cartello elettorale delle sinistre e alla strada delle elezioni anticipate, e come un implicito «niet» all’ipotesi di governo istituzionale.
Ora la sua mossa, dicono dentro il Pd i critici, rischia di paralizzare il partito sull’Aventino, appiattendolo a sinistra proprio nel momento più delicato, quello in cui - se davvero Berlusconi fosse costretto dal precipitare degli eventi (nelle procure e sui mercati) al famoso «passo indietro» - potrebbe nascere un governo «del presidente», guidato da una riserva della Repubblica alla Monti, e chiamato ad affrontare l’emergenza nazionale.
Uno scenario che Casini è pronto a sostenere (anche perché il suo principale obiettivo è far durare la legislatura fino al 2013, quando scadrà il settennato di Napolitano, cui il leader Udc punta a succedere con consenso bipartisan) e che Di Pietro avversa come la morte, convinto che in caso di crisi si debba andare dritti al voto, di cui spera di fare incetta. Mentre il Pd, come lamentano i suoi esponenti più in sintonia con il Colle, «continua a fare l’asino di Buridano» e a giocare un po’ sul tavolo del «nuovo Ulivo» di sinistra e un po’ su quello delle larghe intese coi centristi.
Così la presenza a Vasto di Bersani è stata letta come una smentita alla solenne affermazione (rivolta all’aula e anche al Quirinale) fatta durante il dibattito sulla fiducia da Dario Franceschini, che assicurava la disponibilità di «tutto il Pd» ad appoggiare un governo istituzionale in caso di crisi. A testimonianza del fatto che il segretario del Pd continua a tenersi le mani libere, e a preferire l’opzione del voto anticipato, con sè medesimo candidato alla testa del «nuovo Ulivo», nella convinzione che alla fine l’Udc non potrebbe sottrarsi a un’alleanza elettorale, anche perché «senza i nostri voti, al Quirinale non ci può andare».
Casini però avverte: «Un nuovo Ulivo e una nuova stagione come quella vissuta con Prodi è una prospettiva totalmente diversa dalla mia. Vadano per quella strada se credono, ma penso che avranno grandi delusioni». Anche perché, rincara la dose l’Udc Ronconi, «Bersani non è Prodi, e con Di Pietro e Vendola farebbe la fine di Occhetto e della sua gioiosa macchina da guerra». Mentre Di Pietro non si stanca di bombardare i centristi: «Il Pd perde tempo ad andare appresso a Casini, perché quello al massimo gli si può concedere per una notte, per ottenere una poltrona».
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