Così Marini ha imposto ai centristi le regole d’ingaggio del dopo Prodi

La coalizione di governo ha festeggiato lo scampato pericolo della crisi sul decreto di rifinanziamento delle missioni militari italiane all’estero inneggiando alla spaccatura registratasi nell’aula del Senato fra l'Udc, che ha confermato il suo tradizionale sì a questo periodico provvedimento, e le altre componenti dell’opposizione, che astenendosi hanno praticamente votato contro per effetto del regolamento di Palazzo Madama. «Siamo più forti e l’opposizione più debole», si è vantato in un salotto televisivo il vice presidente del Consiglio Francesco Rutelli, coprendo d'imbarazzanti elogi l'ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, che gli sedeva accanto. E che poi, negando di aver fatto votare i suoi senatori a favore solo per soccorrere il governo, si è appellato ai numeri per sottolineare che il decreto sarebbe passato anche senza i voti dell’Udc, grazie al solito soccorso dei senatori a vita presenti.
La festa della maggioranza mi sembra quella di chi esulta per essersi guadagnato al «Gratta e vinci» solo il diritto di grattare gratis un altro biglietto, questa volta del tutto sfortunato. In realtà la salute del governo rimane precaria, a dispetto della gioia televisiva di Rutelli e della «svolta» vantata da Prodi in viaggio nell’America del Sud. Se qualcuno ha guadagnato qualcosa dal modo in cui il decreto sulle missioni militari è passato, questi non è stato il presidente del Consiglio. E, a mio avviso, neppure Casini, al quale gli elogi o le premure degli avversari alla lunga potrebbero procurare più danni elettorali che vantaggi politici, specialmente se - facendo i dovuti scongiuri, naturalmente - la situazione in Afghanistan dovesse aggravarsi. Sarebbero in tal caso confermate le ragioni dell’allarme lanciato da Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Umberto Bossi sulle condizioni in cui è costretto ad operare il contingente italiano, viste anche le implicazioni del sequestro e dello scambio del giornalista italiano Daniele Mastrogiacomo con terroristi talebani non certamente destinati al riposo.
A guadagnarci di più dal modo in cui è stato approvato il decreto di rifinanziamento delle missioni militari è stato il presidente del Senato Franco Marini per la tempestività e l’autorevolezza con le quali, all’interno della maggioranza, ha riconosciuto la necessità di garantire ai militari italiani mezzi e regole più adeguati.

Anche se il governo, prigioniero della sinistra estrema, non ha voluto andare oltre i soliti ordini del giorno non vincolanti, dei quali sono stracolmi i cestini parlamentari, Marini si è ulteriormente accreditato, nel caso non certo improbabile di un altro collasso politico di Prodi, dopo la crisi di febbraio, per la guida di un governo di decantazione o di larghe intese. La cui unica alternativa sarebbe il ricorso finalmente alle elezioni anticipate.

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