D a qualche tempo nelle sedi della associazioni che rappresentano le immigrate musulmane del nostro Paese, capita un fatto nuovo. Una dopo laltra, arrivano lettere firmate da giovani donne che hanno tutte una cosa in comune: un fidanzato italiano. E un progetto comune: arrivare a sposarlo al più presto. Per questo già devono sopportare un bel carico di pressioni e minacce da parte degli uomini di famiglia ma non è niente rispetto a quello che le aspetta. Infatti, cosa succede oggi ad una donna che è nella loro situazione? Intanto, per ottenere il diritto a sposarsi ha bisogno di un nulla osta rilasciato dallambasciata o dal consolato del suo paese dorigine. Ed ecco il primo ostacolo: i funzionari delle rappresentanze diplomatiche dei Paesi musulmani nemmeno ci pensano che si trovano in un paese dove la libertà religiosa è sancita dalla Carta costituzionale e la libertà di metter su famiglia da una serie di leggi alta così. Non si preoccupano nemmeno che ci siano di mezzo i diritti di un nostro concittadino. Applicano alla lettera la sharia, la legge islamica per cui è un sacrilegio solo pensare che una musulmana possa sposare un infedele. E dunque, il nulla osta lo rilasciano solo se hanno la prova che il promesso sposo italiano si è convertito allIslam. Niente conversione, niente nulla osta. «Funziona così», scrive Jamila: «Ti siedi, guardi il funzionario del tuo consolato che se ne sta dietro la sua bella scrivania, cerchi di impietosirlo, magari gli assicuri che il tuo futuro marito si convertirà presto e speri solo che sia di buon umore perché se è così forse ti chiama solo cagna sennò passa a puttana: ehi, puttana, che ti sei messa in testa, chi credi di prendere in giro? E sei fortunata se non ti sequestra subito il passaporto».
Ad unimmigrata come Jamila che ha appena ventanni non resta allora che inghiottire le umiliazioni, armarsi di coraggio e andare a bussare alla porta di uno dei nostri tribunali per implorare una sentenza che autorizzi comunque il suo matrimonio. Il problema è che anche ai nostri tribunali occorre una prova: la prova scritta del consolato che il nulla osta le è stato rifiutato per motivi religiosi. Altrimenti, dicono i nostri giudici, le leggi italiane non le possiamo applicare e di autorizzazione non se ne parla. Ed ecco laltro ostacolo, la novità che riempie di disperazione le lettere delle giovani immigrate. Oggi questo non è più possibile: i funzionari dei consolati hanno mangiato la foglia e trovato il rimedio. Si rifiutano ormai di rilasciare dichiarazioni scritte quando negano il loro nulla osta a chi accarezza l«insano» desiderio di sposare un infedele. Risultato: il suo italiano, quellimmigrata non lo sposerà mai. E questo vuoi dire una cosa non da poco, vuol dire semplicemente che ha vinto la sharia, la legge di un altro Stato dentro il nostro Stato.
Scrive ancora Jamila: «Vivo in Italia, lavoro in Italia, pago le vostre tasse, voglio sposare un vostro connazionale, allora non capisco: perché le vostre leggi per me non hanno nessun valore?». Bella domanda, che andrebbe girata per primo, io credo, al nostro ministero degli Esteri. Non deve essere così difficile convocare un ambasciatore e invitarlo a tenere docchio, oltre alla sharia, anche la nostra Costituzione e, perché no, anche la Carta universale dei diritti delluomo. Ancora meglio se rispedisce in patria qualche suo funzionario rimasto con la testa al medioevo. E neppure mi pare una missione impossibile provare a varare un provvedimento che dia la possibilità ad unimmigrata che ha tutti i documenti in regola di sposare chi gli pare. Ricorrendo allautocertificazione se il suo consolato le rifiuta un documento che le spetta di diritto, senza nemmeno spiegarle perché. A pensarci bene, la stessa domanda potremmo rivolgerla anche al Ministro dellInterno.
Mi dice Dounia, unaltra immigrata che il calvario del matrimonio con un italiano lo ha vissuto fino in fondo: «Mi chiedo perché invece di fare di noi una risorsa di questo Paese, ci rendete figlie di nessuno, diseredate senza identità, poco più di ombre lungo un muro». Si può darle torto? Nel frattempo andiamo pure avanti così. Un matrimonio, due Stati.
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