Così si processano solo rapinatori e spacciatori

Rapinatori. Corrieri della droga. Ma anche ’ndranghetisti. Silvio Berlusconi è in buona compagnia: il rito immediato è sempre più gettonato dalla procura di Milano che sfrutta questa corsia preferenziale per accelerare i processi contro la criminalità. «Il caso classico per cui si procede con queste modalità - spiega Fabio Roia, giudice di rito ambrosiano ed ex componente del Csm - è quello del corriere internazionale di cocaina fermato a Malpensa con un carico di ovuli. Oppure, un’altra situazione tipo - prosegue Roia - è quella del rapinatore bloccato ancora con la pistola in mano. Direi che per la mia esperienza le due strade che portano normalmente all’immediato sono la confessione o la flagranza del reato». Perfetto. Ma che c’entra il bandito bloccato all’interno della banca con Berlusconi? «In effetti, sulla carta - è la conclusione di Roia - si tratta di percorsi diversi, ma io non conosco le carte raccolte dalla procura di Milano sotto il profilo dell’evidenza della prova».
Insomma, prima di pesare una volta per tutte la consistenza dell’accusa, conviene pazientare e leggere le carte. Certo, la corsa contro il tempo per portare il Cavaliere in aula sembra rappresentare un unicum, ma Berlusconi è sempre stato un indagato speciale alle latitudini ambrosiane.
Negli ultimi tempi l’immediato ha avuto un nuovo rilancio su un altro fronte: i procedimenti contro persone detenute. Chi sta in cella, o agli arresti domiciliari, è stato colpito da un ordine di custodia firmato da un gip e confermato in seconda battuta dal Tribunale del riesame. Dunque, un doppio filtro. E allora, si può accelerare verso l’immediato. È esattamente quel che è successo a squadre intere di affiliati alla ’ndrangheta, ammanettati proprio nell’inchiesta condotta da Ilda Boccassini. L’opinione prevalente è che per i boss, come per i rapinatori o i corrieri fermati sull’aereo, le prove siano evidenti. Solide. Robuste. Anche se l’iscrizione nel registro degli indagati è avvenuta prima dei novanta giorni fissati dal codice.
Berlusconi, dunque, si ritrova nello stesso variopinto girone frequentato da molti criminali. Piccoli dettagli in ordine sparso: il Cavaliere non ha confessato alcun reato, non è detenuto e nemmeno confinato ad Arcore, anche se villa San Martino pare molto gradita ad un plotone di investigatori, neppure è stato sorpreso in un bordello o in un motel a letto con una quindicenne. E allora?
A palazzo di giustizia allargano le braccia. In verità Mani pulite ha avuto uno dei suoi momenti più drammatici proprio con un processo servito con la leva del rito immediato: quello a Sergio Cusani, la Norimberga della prima repubblica. Ma Cusani aveva confessato le proprie responsabilità. E il Pool ingranò la quinta costruendo sui verbali del braccio destro di Raul Gardini un atto d’accusa a molti dei big della prima Repubblica. Altri tempi e tutta un’altra storia a base di tangenti e valigette.
La Procura ci aveva riprovato in grande stile nel 2004 davanti al cratere del più grande scandalo finanziario del dopoguerra: quello della Parmalat di Calisto Tanzi. Ma il gip Guido Piffer, uno dei più autorevoli e stimati nel perimetro milanese, rispedì le carte alla procura spiegando che le prove non erano per niente chiare. Né evidenti.

Ma generiche. Risultato: i faldoni di Parmalat sono andati avanti ad una velocità di crociera ordinaria, quella più o meno da sbadiglio di milioni di procedimenti. Vedremo ora cosa risponderà ai pm il gip Cristina Di Censo.

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