«Così si può vincere la paura»

«Obama è un grande comunicatore, ma deve sperare di essere un nuovo Reagan più che un nuovo Roosevelt». Carrol Doherty è il direttore associato del Pew Research Center, il più autorevole istituto americano di ricerca sugli orientamenti dell’opinione pubblica. Nessuno meglio di lui sa cogliere lo stato d’animo dei cittadini statunitensi.
Obama continua a essere molto amato. La sua popolarità può essere d’aiuto per uscire dalla crisi?
«È vero, Obama ha un tasso di approvazione del 61% e gli americani sono disposti a dargli ancora molto credito, tuttavia non credo che questo sia sufficiente a combattere la crisi».
Eppure tradizionalmente gli americani desiderano farsi guidare nei momenti avversi...
«Sì e il 77% considera Obama un leader forte; però la gente è molto spaventata dalla crisi e sebbene solo una minoranza ne abbia subito le conseguenze, l’85% dei cittadini ha ridotto le spese nel timore di dover perdere il lavoro o di non riuscire a pagare il mutuo. La paura, insomma, è più forte della fiducia in Obama».
Ma il presidente moltiplica gli appelli all’insegna dell’ottimismo. La settimana scorsa ha detto: «Comprate le azioni...».
«Ma il Dow Jones è sceso ancora ed è rimbalzato ieri per altre ragioni. Il presidente fa bene a tentare di infondere fiducia, ma non bisogna illudersi che possa ottenere risultati immediati, perché questa è la peggiore crisi dal ’29».
E da quella crisi l’America uscì grazie a Roosevelt, che diceva: non bisogna aver paura se non della paura stessa...
«Sì, ma ci vollero oltre dieci anni, fu un processo lentissimo, mentre tutti si auspicano una ripresa più rapida».
E allora chi dovrebbe imitare Obama?
«Ronald Reagan, che era molto popolare a inizio mandato, ma per i primi due anni dovette affrontare una recessione spaventosa; poi al terzo anno iniziò il boom.

E anche Obama è un grande comunicatore. A breve la crisi sarà durissima, la speranza è che non duri a lungo. Politicamente i due sono molto diversi, ma non c’è dubbio che lo stesso Obama sarebbe felice di seguire la stessa evoluzione di Reagan».

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