Politica

Così sono riuscito ad abolire il Capodanno

Non so se sia il vecchio passaggio dell’anno che annuncia in modo ineluttabile il tempo che passa, ma da qualche anno cerco di evitarlo. Faccio lo stesso anche con il compleanno che aggiunge tempo al tempo e rende più breve la vita che resta.
Ho anche particolare antipatia per le festività obbligatorie, come molti credo, costretti a divertirsi per forza, letteralmente a orologeria.
Se è vero che nell’imminenza del passaggio comincia il conteggio dei secondi che vede tutti pronti al brindisi, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno, zero con la complicità di programmi televisivi con festanti obbligati e obbligatori, è altrettanto vero che quello è il momento in cui si vorrebbe essere altrove, ma sembra impossibile, non consentito. Ci sono i richiami dei parenti, degli amici, il censimento degli anni che ha i suoi riti. Così ho elaborato una strategia di grande efficacia, che metto in atto ormai da qualche anno.
Non mi nego, non mi nascondo, non faccio lo snob, non sto chiuso in casa staccando il telefono, ma accetto tre o quattro inviti in luoghi diversi dalla città in cui sono.
Per raggiungere l’obiettivo convenuto possono essere necessarie un’ora, due ore, tre ore.
Così io decido la meta e mi metto in cammino in un orario così estremo che non mi consente di arrivare entro mezzanotte. Se sono a Roma, e devo andare a Positano, parto tre quarti d’ora prima, se sono a Ferrara e devo andare a Modena parto mezz’ora prima e se sono a Milano e devo andare a Bologna, parto un’ora prima. Così mi trovo a mezzanotte sull’autostrada, sotto un ponte, con l’autista che è rassegnato a essere senza casa e senza destino, e con l’amica (l’unica, indisponibile a tutto che rifiuta feste e mascherate) che condivide il mio malumore e la mia esaltazione per la condizione di privilegio di totale isolamento nel momento cruciale ma senza sottrarsi agli incontri con gli amici che, intanto, stanno brindando nella falsa euforia e nel divertimento prestabilito. Tutti a salutare, a farsi auguri con il sorriso e il bicchiere, a telefonare nell’arco di un quarto d’ora ad amici vicini e lontani.
E noi, nel vuoto assoluto, in un silenzio irreale, con la neve, talvolta, come accadeva più facilmente da bambini, sospesi nel tempo per un quarto d’ora senza nessuno.
Tutte le macchine ferme, l’autostrada deserta, la meta ancora lontana, nessun turbamento, nessun obbligo. Quando, dopo la sosta, nella contemplazione del vuoto, si riprende il viaggio, tutto è compiuto. Un anno è passato. Un altro, uguale, comincia. Poco prima dell’una si arriva a giochi fatti. I brindisi consumati, i baci attribuiti, la festa illanguidita e malinconica, i riti esauriti. Gli amici ci sono ancora, faticano a ricordare che ti hanno già salutato e, in ogni caso si rassegnano a vederti fuori tempo massimo, nello spazio dell’anno nuovo che è ormai cominciato.
Ho elaborato questa strategia dopo anni di feste tutte uguali e tutte inevitabili. Ricordo perfettamente quei momenti di distanza da tutto, di sospensione, guadagnati con l'inganno, anche con vigliaccheria, non accettando e non rinunciando, attraverso un trucco che, forse, la prima volta, mi riuscì per caso, per un ritardo non voluto.
Ma tale fu l’estasi di quel momento di distanza da tutto e da tutti che fatico a immaginare un altro Capodanno che non sia solo per me, incondiviso, senza scappare, senza rabbia o disgusto ma semplicemente con una assenza calcolata, con un difetto di puntualità, proprio nel momento in cui nessuno se lo vuole permettere.


Se non avete il coraggio di questa dilazione auguratevi che un piccolo incidente, una gomma bucata, vi costringa a mancare, e proverete la stessa, incontenibile gioia.

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