Politica

Così lo Stato foraggia la stampa: una torta che vale 700 milioni

Soldi per tutti, da grandi testate a organi sconosciuti. Quando basta la firma di due senatori per fare il pieno. Tra le emittenti finanziate c’è anche Radio Manbassa

Stefano Filippi

Il pentolone dei finanziamenti all’editoria è un paiolo dove bollono quasi 700 milioni di euro assieme a tutti gli editori e tutti i giornali italiani, compreso questo editore e questo giornale. Rai e stampa di partito, cooperative multicolori e «furbetti del giornalino», testate grandi e piccole, famose e sconosciute, quotidiani stravenduti e bollettini fantasma. E il gran cuoco, cioè lo Stato (cioè i contribuenti), aggiunge sempre nuovo denaro. La legge non è nuova, risale al 1981, ma la polemica e la bile tornano periodicamente a galla, come il ritornello di una vecchia canzone che ti ritorna in mente, lo fischietti per un po’ finché non lo dimentichi di nuovo.
Quest’anno il governo Berlusconi ha varato l’operazione trasparenza. Sul sito internet di Palazzo Chigi (www.governo.it) è pubblicato nei dettagli l’ammontare dei sussidi erogati nel 2003, gli ultimi disponibili. Pochi clic e appare l’elenco completo: giornali, editori, cifre. Beppe Grillo ne ha fatto un tormentone, l’ottimo Report di Milena Gabanelli su Rai3 ha riacceso la polemica, il web trabocca di forum rabbiosi contro l’ultimo scandalo di Sprecopoli.
Anche i ricchi incassano
Qualcuno crede che i fondi pubblici aiutino soltanto giornali traballanti. Vero solo in minima parte. Le grandi testate ricevono somme ingenti. Il capitolo «Contributi a quotidiani italiani teletrasmessi in Paesi diversi da quelli membri dell’Unione europea» ha due sole voci: Repubblica (1.351.640,76 euro) e Corriere (714.186,83). Tra le 85 «imprese di radiodiffusione sonora a carattere locale» cui vengono rimborsate le «spese per l’abbonamento ai servizi delle agenzie di stampa», confusi tra gli spiccioli di Radio Amore e Radio Babboleo, Radio Missione Cenacolista e Radio Manbassa svettano i 257.448,96 euro presi da Radio 24 Il Sole 24 Ore, l’emittente di Confindustria.
A questi contributi diretti se ne aggiungono altri di varia natura: agevolazioni per la spedizione postale, crediti d’imposta per l’acquisto della carta, fondi per la mobilità e la riqualificazione dei giornalisti. Circa 450 milioni di euro, una montagna. Le compensazioni maggiori vanno alle testate con più abbonati: il Sole 24 Ore ha risparmiato 11 milioni e mezzo di euro, Avvenire tre milioni 800mila, Conquiste del lavoro (tabloid di 16 pagine della Cisl) tre milioni, rimborso pressoché analogo al Corriere, due milioni e mezzo alla Stampa, due milioni 350mila al Messaggero, un milione 350mila alla Repubblica. La compensazione erogata al Giornale per il 2003 è pari a 200.393,28 euro.
Del fondo per riqualificare i giornalisti, invece, la fetta più grossa (oltre due milioni di euro, da aggiungere al finanziamento «ordinario» di sei milioni 800mila euro) finisce all’Unità; ma somme consistenti vanno anche a testate importanti come Stampa, Tempo, l’agenzia Ansa e il gruppo Poligrafici (Giorno, Carlino, Nazione).
Bersaglio mobile
In genere tutti se la prendono contro i «furbetti» che spremono soldi tra le pieghe delle leggi. Gli obiettivi più facili sono Libero e il Foglio (oltre cinque milioni di euro al primo e tre milioni e mezzo al secondo), che al pari di altre 20 testate aggiustano i bilanci grazie a una ingegnosa trovata risalente al 1999: per ottenere il finanziamento pubblico bastava che due senatori dichiarassero che quei giornali erano organi di partito. Fiorirono una quantità di movimenti, da «Informazione democratica» a «Milano metropoli», «La città che vogliamo» e «Diritti civili», «Movimento monarchico» e «Movimento mediterraneo», «Destra di popolo» e altri ancora. Due anni dopo i contributi cessarono ma non per i giornali pubblicati da cooperative: e tutti corsero a trasformarsi in coop.
In questa pattuglia sono ben rappresentati entrambi gli schieramenti: Libero, Foglio, Opinione di centrodestra; più numerose le testate di centrosinistra: Riformista, Aprile, Avvenimenti, Campanile (Udeur), Cristiano sociali news (Ds), Gazzetta Politica (Sdi). La Cronaca di Cremona e Piacenza fu sponsorizzata da un senatore popolare (Angelo Rescaglio) e uno diessino (Sergio Trabattoni): «Ma eravamo cooperativa dal 1994 - spiega l’amministratore delegato Massimo Boselli Botturi - e l’appoggio di due parlamentari amici ci ha consentito di superare un momento difficile. Oggi diffondiamo 9.500 copie, abbiamo salvato 45 posti di lavoro e trasformato il giornale da bisettimanale in quotidiano; siamo orgogliosi anche se non ci dispiacerebbe avere un editore vero che a fine anno ripiana i bilanci. Report non ha parlato delle coop vere, come noi. Vuol dire che non ha trovato nulla da ridire».
La coop siamo noi
Lo Stato è particolarmente generoso con le testate edite da cooperative, che incassano quasi 90 milioni di euro, anche se un mese fa è suonato l’allarme perché Palazzo Chigi ha annunciato il ricalcolo dei contributi (e relativo taglio). Testate storiche, come il Manifesto (4.441.529,23 euro) e il Corriere Mercantile di Genova: 2.582.284,50 euro come quelli dell’Avanti!. Testate locali, come Molise Oggi, Voce di Romagna, Corriere di Perugia, Giornale della Toscana (allegato al Giornale). Testate di confine: il triestino Primorski Dnevnik (sloveno), l’altoatesino Dolomiten (tedesco). Testate insospettate come Italia Oggi, quotidiano di Class editori (gruppo con 270 dipendenti quotato in Borsa) ma formalmente posseduto al 50,01 per cento dalla coop Coitalia. O come l’Avvenire, giornale dei vescovi, che percepisce quasi sei milioni di euro perché controllato da un ente morale (la fondazione Santi Francesco e Caterina) che la legge equipara a una coop perché non ha fini di lucro.
Naturale che, tra le 68 cooperative editrici finanziate dallo Stato, molte siano legate al centrosinistra. Per esempio Area, cui fanno capo Radio Città Futura, emittente dei Ds romani, e un’agenzia di stampa che fornisce notiziari a decine di stazioni locali. Oppure il Salvagente, nato come supplemento dell’Unità e poi diventato testata autonoma. O ancora il Sabato Sera di Imola, pubblicato da Bacchilega Editore il cui presidente è l’ex sindaco, ex deputato ed ex sottosegretario diessino Bruno Solaroli.
Storie di successo come Ottopagine, quotidiano di Avellino uscito nel 1995 e diventato in pochi anni il giornale più venduto in Irpinia grazie a un’aggressiva politica di prezzo (1.000 lire poi diventate 50 centesimi) che costrinse la concorrenza del Mattino ad adeguarsi, e alla scelta di puntare su temi popolari, cronaca e soprattutto moltissimo sport. Storie più travagliate come la vicenda della Media News di Ravenna che edita Qui, settimanale della Romagna che si acquista nelle edicole presentando un «coupon» e per il resto viene diffuso nelle mille feste e sagre della zona. Qualche anno fa la coop tentò di aprire redazioni a Rovigo e Ferrara ma la cosa finì male, con denunce per comportamenti antisindacali, redattori chiusi fuori dagli uffici e computer staccati.
Operazione estero
Quello dei giornali per i connazionali emigrati è un fiume dai mille rigagnoli, con quasi 200 testate di ogni dimensione sparse in tutto il mondo. Incassano realtà importanti come America Oggi (2.508.986,22 euro) e il Corriere Canadese (2.582.284,50) di Toronto, distribuito dal 1995 assieme a Repubblica. Con il tabloid fondato da Eugenio Scalfari usciva in Australia la Fiamma, quotidiano molto letto tra Sydney e Melbourne che nel 2003 ha ottenuto 143mila euro.
A parte i due maggiori, gli altri giornali si spartiscono poco più di due milioni di euro. Briciole. E ogni anno da ogni angolo del pianeta piovono su Palazzo Chigi le richieste di aumentare gli stanziamenti. «Gli editori italiani all’estero sacrificano la loro vita per tenere alto il nome dell’Italia nel mondo», scrisse a Silvio Berlusconi nel 2001 Basilio Giordano, direttore del Cittadino Canadese pubblicato nel Quebec (53.198,18 euro di contributo nel 2003).
Sono giornali che regalano ai loro direttori grande prestigio nei vari Paesi e talvolta si trasformano in trampolini. L’Eco, settimanale illustrato svizzero pubblicato nel Canton Argovia (contributo di 49.788,47 euro), ha lanciato il direttore Emiddio Bulla alle ultime elezioni tra i candidati dell’Udc per la circoscrizione Europa. E sempre per l’Udc, ma nella circoscrizione Nord e Centro America, si è presentato l’italocanadese Paolo Canciani, direttore del settimanale Insieme (39.692,20 euro) impiantato a Montreal dai Padri scalabriniani. Ben altra cifra (217.149,46 euro) puntella la Voce d’Italia, quotidiano fondato in Venezuela da Gaetano Bafile la cui figlia Marisa, vicedirettore del giornale con il fratello Mauro, era nella lista dell’Unione per l’America Meridionale. L’unica che ce l’ha fatta, fra i tre direttori-candidati-finanziati.


(1. Continua)

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