Così un torero in miniatura diventa seduttore

Mi chiamo Juan e sono un nano d’Aragona. Non mi fido di nessuno, quindi neanche di questa donna italiana che è venuta a Saragozza solo per incontrarmi. Non capisco cosa voglia, né dove intenda arrivare. Si è presentata al caffè Casita con un ritaglio di giornale riposto in un quaderno rosso. Sul giornale - dice - ha trovato la mia storia, una storia bellissima che intende raccontare a un festival di Milano. Io le parlo in castigliano, lei mi risponde in italiano, non ci comprendiamo molto, però facciamo finta che non sia così. Non solo è bellissima la mia storia - aggiunge - è universale. La donna si è protesa in avanti, e ha fatto un gesto brusco con le mani, come se mi volesse sollevare. Mi sono ritratto, lei non ha capito, si è guardata intorno. Lei non può capire lo spavento che mi fanno quelle sue mani bianche e lunghe.
«Signorina, apprezzo il suo entusiasmo, ma per raccontare la mia storia dovrebbe assistere a uno spettacolo, entrare, almeno una volta, nell’arena» le suggerisco, mentre Dolores, la cameriera, ci osserva sospettosa dal bancone. Dolores non mi spaventa più, invece. Mi fa solo rabbia quando pulisce il pavimento del Casita e mi gira tutt’intorno con lo straccio umido come se fossi una sedia. Agli altri uomini Dolores chiede il permesso. Le ho parlato di questa rabbia, perché ormai è un bel po’ che ci conosciamo, ma Dolores sostiene che non m’ignora perché sono piccolino, al contrario, io non la preoccupo perché se scivolo sul bagnato non mi rompo, sono come un gatto. Una sera le ho chiesto di venire al cinema con me, ma a Dolores non piace il cinema.
«Purtroppo non ho tempo, signor Juan, devo ripartire subito. E poi, guardi, non si tratta di scrivere qualcosa sulla corrida, voglio solo mettere in luce questo paradosso: il comune di Saragozza crede di fare del bene a voi bomberos impedendovi di esibirvi prima dei veri toreri, invece vi fa del male. Vi lasciano senza lavoro, e screditano la dignità dei vostri spettacoli. Sono spettacoli innocenti, per bambini».
«Non sono spettacoli per bambini, anzi, i bambini non ridono mai. Piangono, quando ci vedono». \
«Se sa già tutto, io a cosa le servo? Che bisogno c’era d’incontrarsi qui?».
«Volevo vederla, capire come vive normalmente, fuori dall’arena».
«Ho capito, le interessa la vita normale di un nano».
«Non molto, ma il paradosso è il tema del festival, e mi hanno chiesto di scriverne».
«Che vuole sapere? Cosa faccio quando mi alzo la mattina? Un travestito che conosco a questa domanda le risponderebbe: la barba».
«La barba, certo. Ma prima mi spieghi: la Chunta aragonese ha messo al bando con un’ordinanza i bomberos perché vuole evitare discriminazioni e disuguaglianze, però nessuno ha chiesto la vostra opinione. Giusto? È così?».
«Sì, è così. Secondo la Chunta non si possono più mangiare neanche le salsicce fatte in casa».
La donna sbuffa indignata, come se conoscesse le salsicce di cui le parlo, come se le avesse divorate con gusto fin da bambina. Non sa che le sto mentendo. Tutti gli uomini mentono, ma alcuni pensano che i nani non siano anche uomini, solo nani, e dunque incapaci di mentire.
«Signorina, nessuno ha messo al bando le salsicce fatte in casa. Io scherzo, sono un comico».
«Infatti, lei è un comico e anche questo è fondamentale da chiarire, perché alla corrida la gente non ride di voi, ma di quello che fate».
Non c’è verso, è fissata con i miei diritti e non sa nemmeno chi sono, se me li merito. La gente non ride più quando affronto una giovenca, ha smesso di divertirsi da secoli ai nostri spettacoli e i bambini piangono perché si annoiano. Ma lei questo dramma, il mio dramma di bombero, non lo sospetta. \
«E cosa farà adesso? Di che vivrà se davvero vi impediranno di esibirvi?».
«Farò quello che ho sempre fatto, magari in un circo».
«Non le dispiace? Dovrà lasciare l’arena, il suo mondo».
«È il mondo che ha lasciato noi. Mi dica, da quanto non vede in giro un nano che abbia meno di trent’anni?».
«Non saprei, non è semplice stabilire la vostra età».
Giusto, è la prima cosa sensata che dice.
«Siamo gli ultimi della nostra specie, non ne nasceranno altri in futuro, sempre meno. Racconti questo, al suo festival».
Mi guarda, come se l’avessi offesa. È attraente, così le chiedo se ha voglia di accompagnarmi al cinema. Quando passa la paura, lo faccio con tutte.

Lei mi risponde che non ne ha voglia, ma ci viene lo stesso, perché più che l’ultimo della mia specie sono un uomo solo. E a lei gli uomini soli piacciono così tanto che vuole sempre unirsi a loro.
Questo sì che è un bel paradosso - le dico - utile, molto meglio dell’altro.

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