Così il turismo rischia di morire E Rutelli tace

Carlo Cambi* Di equità e di sviluppo. Così il presidente del Consiglio ha definito la «sua» Finanziaria. Sull’equità si sono espressi altri e ben più autorevoli commentatori, ma sullo sviluppo vi è una voce che sin qui non è stata presa in considerazione ed è quella della principale attività economica del Paese: il turismo. E dire che il vicepresidente del Consiglio Francesco Rutelli aveva preso per sé la delega al settore assieme a quella per i Beni culturali. Alla prova dei fatti il vero sconfitto della Finanziaria è proprio lui, perché la Finanziaria per come è stata concepita smentisce con i fatti il modello di sviluppo da soft economy che Rutelli aveva immaginato di poter rappresentare.
Tra le pieghe della Finanziaria sono nascosti provvedimenti che rischiano di uccidere definitivamente un comparto che vale alcuni milioni di posti di lavoro e soprattutto il 12 per cento del Prodotto interno lordo. Ad esempio: il differenziale di Iva tra i nostri alberghi, i nostri ristoranti, i nostri campeggi rispetto a quello della media dei paesi europei è di 4 punti percentuali in più. Con i provvedimenti inseriti in Finanziaria questo gap schizza ad almeno 15 punti percentuali. La reintroduzione della tassa di soggiorno vale una cifra enorme: le notti vendute nel nostro paese sono 310 milioni, moltiplicate per 5 euro danno un miliardo e 550 milioni di euro. Ed è una bolletta scaricata tutta sul turismo. Ma se si scende nel dettaglio si scopre che su un albergo due stelle 5 euro equivalgono al 10% di aumento del prezzo di una stanza, in un campeggio o in un agriturismo si arriva al 20%.
L’innalzamento della pressione fiscale sugli affitti porterà ad un rialzo dei canoni di locazione calcolabile intorno al 6%, mentre l’accisa sul gasolio introduce un ulteriore aggravio. Un turista su due che entra con la sua auto in Italia sopporterà un costo maggiore stimabile nel 2%. Per non dire del maggior costo che dovranno sopportare i tour operator che operano con i pullman. L’aumento dell’Ici nelle strutture ricettive si configura come una tassa sui beni strumentali e quindi del tutto incongrua.
E infine alle imprese turistiche, per lo più a conduzione familiare e con addetti «stagionali», non si applicherà la riduzione del cuneo fiscale, che finirà per premiare quelle imprese strutturate (le grandi catene alberghiere, i tour operator, le compagnie di crociera, le compagnie aree) che servono a portare fuori i turisti dall’Italia, cioè in autogoing, facendo perdere ulteriore competitività al turismo made in Italy, cioè quello in entrata che è la vera voce positiva di contribuzione al Pil.
Dunque il turismo italiano parte con handicap di Iva con un maggior costo del 4% a questo si applica (nella peggiore delle ipotesi) un ulteriore 5% derivante dalla tassa di soggiorno, un effetto locazioni o Ici stimabile attorno al 6% e un effetto diesel stimabile attorno al 2%. Il che significa che il gap di costo tra un’impresa ricettiva italiana e una impresa ricettiva europea oscilla tra il 15 e il 18%. Semplicemente insostenibile. A fronte di tutto questo il vicepremier Rutelli tace. Lo fa per disciplina di coalizione, lo fa perché la manovra ha alto valore politico? Ma come può avere valore una manovra che sacrifica la più importante voce di produzione del paese?
Questa Finanziaria, almeno nel capitolo «sviluppo», soffre di strabismo: si preoccupa infatti di settori che non rappresentano più la ricchezza del paese e comprime quelli che invece hanno dato sin qui maggiore dinamicità alla nostra economia. È il mito industrialista che si riaffaccia, è il concerto dei poteri forti (tra i quali è lecito ascrivere anche i sindacati) che schiaccia i veri protagonisti dell’economia. Ma se la Finanziaria è un provvedimento concepito per fare cassa e per disegnare un nuovo profilo economico dell’Italia perché Rutelli, che ha la titolarità di un comparto che rappresenta la maggiore produzione di ricchezza del Paese, non si interroga sugli effetti distorsivi che la Finanzaria ha sul turismo italiano? Mistero.
Verrebbe da chiedere al ministro Rutelli, che invita gli italiani a fare vacanze in Italia, che vuole le ferie scaglionate, se leggendo la Finanziaria ha pensato a tutto questo e se non ha sentito smentito il suo afflato di creare uno sviluppo armonico del Paese fondato sulle eccellenze e sulle piccole imprese.

A meno che non si pensi che bastino i pensionati e i bambini delle colonie - il cosiddetto turismo sociale - a tener vivo il 12 per cento del Pil. Accadde nel Ventennio, ma è difficile credere che il governo Prodi s’ispiri a quel modello.
*docente universitario di Teoria
e politica del Turismo a Macerata

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