Cronaca locale

Le cosche volevano entrare nei cantieri di piazza XXV aprile

Le ’ndrine si impossessavano come un virus delle imprese sull’orlo del crac. È lo schema applicato al parcheggio dello Smeraldo e ad altri grossi appalti

Le cosche volevano entrare nei cantieri di piazza XXV aprile

Il progetto era davvero ambizioso. Creare un cartello di imprese per aggiudicarsi "qualsiasi tipo di appalto". Ne parlano al telefono Salvatore Strangio - arrestato martedì e indicato dagli investigatori come un noto ’ndranghetista - e Andrea Pavone, il volto pulito del gruppo, l’uomo che amministrava le società del clan, l’interfaccia tra le cosche e il mondo delle imprese. La conversazione è del 25 febbraio 2009. "Carta bianca per fare l’operazione - dice entusiasta Pavone - facciamo una società in quattro, siamo la più grossa della Lombardia, abbiamo tutte le Soa (Società organismo di attestazione, ndr) per fare qualsiasi tipo di appalto. Cento milioni di fatturato!". Un’enormità. L’idea di Pavone e Strangio è di concludere una fusione tra il gruppo Rebai, la Angelo Cega spa, il gruppo Fondamenta srl e ovviamente la Perego. In pratica, un colosso delle costruzioni. Il progetto, alla fine, sfuma. Ma il meccanismo messo in piedi dalla ’ndrangheta è sempre lo stesso. Entrare nelle ditte sull’orlo del crac con capitali fittizi, e impossessarsene come un virus. Ed è uno schema che viene replicato anche in pierno centro a Milano. In uno dei cantieri più tormentati della città. Piazza XXV Aprile.
Dei tentativi delle cosche di infiltrarsi negli scavi davanti al teatro Smeraldo si parla in un’informativa della Dia. Gli investigatori dell’antimafia descrivono l’interesse di Strangio "per l’appalto affidato alla "Progetto XXV Aprile Spa" per la travagliata costruzione dei parcheggi". Da anni, quel cantiere è fermo. Le ditte falliscono, e i lavori non vanno avanti. "Anche qui - sottolineano gli 007 - sono state individuate presenze di aziende compromesse, e tentativi di scalata di un’azienda in crisi di liquidità". Ancora una volta, è Pavone che prova ad assorbire le ditte decotte. Anche questa volta, attraverso la "Perego", indicata dalla Dia come "il cavallo di Troia". È il nome spendibile di un’azienda pulita per permettere "a imprese appartenenti agli esponenti della malavita organizzata di partecipare alla spartizione degli utili derivanti dall’esecuzione di lavori pubblici". L’obiettivo, anche nel caso di XXV Aprile, è evidente. Il business del mandamento lombardo, però, dovrà fare a meno di quel cantiere. L’affare non va in porto. Ma quel parcheggio, sottolinea l’antimafia, era "un’ulteriore occasione per reimpiegare in attività imprenditoriali lecite i capitali illecitamente accumulati".
Pavone - l’esperto finanziario, l’uomo delle fusioni, il nome spendibile su cui facevano affidamento le cosche - ieri è stato interrogato dal gip Giuseppe Gennari. "Non sapevo di essere uno strumento dei calabresi", ha detto al giudice, e nemmeno si era reso conto che la "Perego" fosse in realtà la cassaforte delle ’ndrine. Davanti al giudice si sono presentati anche l’imprenditore Ivano Perego, che si è avvalso delle facoltà di non rispondere. E come lui, ha fatto scena muta anche Cosimo Barranca, capo del "locale" di Milano, e presente alla riunione nel circolo dedicato a Falcone e Borsellino. E ha parlato, e per più di tre ore, anche Carlo Antonio Chiriaco, direttore della Asl di Pavia, indicato dagli inquirenti come punto di riferimento dei boss per avvicinare il mondo della politica. Chiriaco, arrestato martedì, avrebbe lavorato con il boss Pino Neri per indirizzare i voti sul deputato Pdl Giancarlo Abelli. Il 9 gennaio 2010, intercettato, dice: "Giuro che farei la campagna elettorale per lui come fosse la prima volta, con la pistola in bocca, perché chi non lo vota gli sparo".
Lontano dal tribunale, invece, Antonio Oliverio - ex assessore provinciale considerato dagli invetigatori il tramite tra la politica e l’organizzazione criminale - si smarca dalle accuse. Ammette di aver iniziato "un rapporto di collaborazione" con Perego, ma di averlo interrotto nel giro di qualche mese, perché qualcosa non mi convinceva: aveva un comportamento molto aggressivo". L’ex assessore ne è certo. "Sono sconcertato.

Ma ho fiducia nei magistrati, tutto verrà chiarito".

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