Roma - La faida campana blocca la corsa di Nicola Cosentino, coordinatore regionale del Pdl, sottosegretario all’Economia, da tempo in pole nella gara alla candidatura a governatore della Campania. Gli ingredienti sono sempre quelli: sgambetti politici, spruzzatine di veleno giudiziario e il piatto è pronto, la candidatura ufficiale non arriva e si blocca tutto. Fino a quando? Questione di ore, più probabilmente di giorni.
Cosentino, natali a Casal di Principe, è uno che lì, in Campania, ha in mano la macchina del partito. Ha consenso, carisma, un serbatoio di voti la cui asticella segna sempre full, un buon rapporto con Berlusconi, un ottimo feeling con il braccio destro di Tremonti, la fiducia dei triumviri pidiellini ma soprattutto della base. Con lui, poi, la gran parte dei parlamentari eletti in Regione che, sabato scorso, si sono riuniti a Palazzo Grazioli proprio per parlare di candidatura campana. «La cosa ormai è fatta», esultava in quella occasione l’ex aennino Mario Landolfi, super tifoso di Cosentino. Altri supporters: Edmondo Cirielli, Luigi Cesaro, Cosimo Sibilia, Nunzia Di Girolamo.
Di fatto, su 55 parlamentari, 44 spingevano Cosentino, gli altri si dividevano tra un agnosticismo di fondo e delle perplessità più o meno velate. Nel fronte dei perplessi qualche nome pesante: il ministro Mara Carfagna, per settimane gettonatissima quale papabile per il post Bassolino; e Italo Bocchino, il finiano d’acciaio che, si dice nel Palazzo, sia il più deciso a pestare sul freno. Tramontata l’ipotesi Carfagna in seguito al niet berlusconiano («Non voglio ministri candidati»), resterebbe in piedi l’ipotesi Stefano Caldoro, segretario del nuovo Psi, capace di far da calamita per quelli dell’Udc. Non è mistero, infatti, che un’eventuale sua candidatura sarebbe applaudita da Pier Ferdinando Casini. Insistenti rumors danno proprio Bocchino quale «allenatore» di Caldoro, spalleggiato proprio dalla Carfagna. A frenare la corsa di Cosentino, anche lo stesso Cosentino che, nei giorni scorsi, sarebbe inciampato in una gaffe. All’assemblea provinciale del Pdl casertano gli sarebbe sfuggito un: «Ci sono dei frocetti a Roma che pensano di poter determinare i destini della Campania». «Beh, se ha detto così sarebbe incandidabile», avrebbe esultato Bocchino.
Insomma, nel Pdl non mancano ruggini politiche. Cui, nelle ultime ore, si sono aggiunti veleni provenienti dalle procure e rilanciati a mezzo stampa. Tutta roba vecchia ma capace di inquinare l’immagine di Cosentino. Si vocifera, infatti, che quest’ultimo possa essere iscritto nel registro degli indagati per presunte collusioni con il clan dei casalesi. Il diretto interessato nega, giura sulla sua specchiata onestà e ribadisce che, se così fosse, sarebbe pronto a «chiedere immediatamente al Parlamento di rinunciare all’immunità per mettere a tacere strumentalizzazioni e calunnie dei perdenti». Tra i «perdenti» Cosentino annovera di certo il suo grande accusatore-nemico: quell’Alfredo Vito, ex parlamentare di Forza Italia, ex «mister centomila voti» della Dc, a sua volta finito nel tritacarne giudiziario perché accusato di rapporti con la criminalità organizzata (prosciolto) e di reati contro la Pubblica amministrazione (patteggiamento).
Di fatto, la spada di Damocle giudiziaria sulla testa di Cosentino potrebbe piano piano erodere il consenso di cui gode fino ad ora.
A questo punto, potrebbe aprirsi un altro scenario: la candidatura di un outsider. Nel palazzo circolano due nomi: Paolo Russo, deputato Pdl, nato a Marigliano (Napoli), laureato in medicina, esponente della Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti.
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