Costituzionalisti in ordine sparso: "Eversiva". "No"

Roma - Non è del tutto una novità che anche la Costituzione - dopo tante leggi - finisca per essere interpretata in maniera diversa da esperti del ramo. Ma mai come in occasione del decreto varato l’altro giorno, con cui si permette alle liste del Pdl di rientrare in gioco nel Lazio e in Lombardia, la disputa si è fatta accesissima. Spara a palle incatenate Gustavo Zagrebelsky, nominato da Scalfaro nella Consulta di cui è stato poi presidente fino al 2004 e oggi docente all’università di Torino: «Un abuso, una corruzione della forza della legge per violare assieme uguaglianza e imparzialità», sostiene a muso duro.

Ma a replicargli di fatto con analoga decisione è Nicola Zanon, ordinario di diritto Costituzionale all’Università di Milano: «Chi, come Di Pietro, accusa il capo dello Stato dovrebbe forse leggere la premessa del decreto dove si parla di rendere effettivo l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo. E del resto le norme contenute nei commi 2 e 3 del decreto (con cui si sana la situazione in Lombardia, nda), sono già in gran parte contemplate nella giurisprudenza e nelle istruzioni del Viminale, anche se hanno dato vita ad interpretazioni divergenti. Per cui ci può stare una interpretazione autentica».
Tutto a posto, dunque? Da Padova replica acida Lorenza Carlassare: «Non c’è modo legale di sanare quella situazione!». Con lei concorda Valerio Onida, anche lui già presidente della Consulta, che sentenzia deciso: «È un’altra legge ad personam». E dunque non saremmo per niente alla soluzione. Solo che ad essi si contrappone, con altrettanto vigore Annibale Marini, presidente emerito anche lui della Consulta: «Sgombriamo intanto il campo dall’idea che si tratti di un decreto eversivo, visto che leggi e decreti interpretativi non sono certo una novità». Non dimenticando di aggiungere che «inaccettabile casomai sarebbe stato un rinvio delle elezioni...». Né manca chi, come Cesare Mirabelli, anche lui già membro della Consulta, nega di vedere nel decreto chiare tracce di incostituzionalità, anche se forse «le norme eccedono la pura interpretazione».

Insomma, c’è chi parla di anticostituzionalità evidente. Chi ribatte che non ve n’è traccia alcuna essendoci state anche in passato norme d’urgenza tese a decifrare contenuti sui quali pesavano interpretazioni divergenti fino allo strappo.

Divisioni secche. Accanto alle quali però, nel fiume di parole dei costituzionalisti che ha preso a scorrere da 24 ore, galleggiano anche un paio di concetti che non si dividono tra le sue sponde opposte. Intanto sono in parecchi - quasi la maggioranza - a sostenere che probabilmente non si poteva fare in altro modo per sanare una situazione assai complessa. Giuliano Amato ad esempio, che certo non si può accostare al centrodestra, nota che in definitiva «questo sgradevolissimo decreto toglie tutti da un serissimo impiccio». Con Giuliano De Vergottini a dirsi d’accordo visto che solo in questo modo si evita «il rischio di fare slittare le elezioni», che - quello sì - avrebbe comportato un vulnus grave per la democrazia.

Il secondo punto che fa trovare molti d’accordo è la firma di Napolitano. Persino Zagrebelsky parla di «etica della responsabilità» del capo dello Stato, accusando Di Pietro di «irresponsabilità».

Anche Michele Ainis, sollecitato ad un chiarimento dall’Unità, trova che «la firma del capo dello Stato ci sta». E dunque la differenze restano, ma il via libera del Quirinale va accettata. Dov’è l’errore? AMC

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