Covatta, bianchi e neri a confronto

Con «Melanina e Varechina» il comico tarantino affronta i problemi del Terzo mondo

Covatta, bianchi e neri a confronto

Matteo Failla

Cinque giorni per riflettere e divertirsi al teatro Ciak. Dal 10 al 15 gennaio, dopo una lunga assenza, torna infatti sulle scene milanesi Giobbe Covatta con Melanina e Varechina, uno spettacolo che è la testimonianza dell’impegno del comico napoletano in tema di diritti umani: da più di dieci anni è testimonial e sostenitore dell’Amref, l’Associazione che favorisce lo sviluppo sanitario e sociale delle popolazioni africane più povere.
Lo spettacolo nasce da una domanda che potremmo definire «covattiana»: una partita a Monopoli è uguale in tutto il mondo? Nello spettacolo di Giobbe no; le regole sono diverse, diversi gli imprevisti e le probabilità, almeno quanto diversi sono i giocatori del mondo occidentale e del continente africano. Una serata di cabaret che oltre a far ridere vuol quindi indurre alla riflessione, come ormai da anni ci ha abituato il comico napoletano.
Ormai tutti conoscono infatti l’impegno di Covatta nei luoghi dimenticati dell’Africa, dove sopravvivere è tutt’altro che divertente. Eppure questo comico, quando si trova immerso in quelle situazioni di povertà, di mancanza di cibo, di medicinali e d’acqua, sorride, gioca, scherza, fa divertire i bambini che gli stanno intorno: perché per Giobbe non conta solo portare aiuti materiali a quelle popolazioni, ma occorre piuttosto essere solidali anche in altri modi. E il suo pare essere uno di quelli tra i più completi: cibo, medicine e spensieratezza
Non possiamo parlare di una vera e propria drammaturgia per questo spettacolo. Come possiamo definirlo?
«Siccome il mio scopo non è quello di lanciare messaggi né quello di improvvisarmi profeta - spiega Covatta - diciamo che potremmo paragonarlo a un semplice racconto delle mie esperienze, di ciò che ho visto in questi anni di viaggi in Africa. Quando ero piccolo ascoltavo i racconti di mio nonno sulla guerra con estremo interesse, ora sono io che narro qualcosa che credo possa interessare al pubblico. Ma lo faccio sempre attraverso l’ironia, il sorriso».
Ed è proprio il suo modo giocoso di trattare una materia così dolorosa a dare una carica maggiore alle sua parole.
«Credo che il divertimento sia un importante veicolo, e non ho dubbi sul fatto che trattare queste questioni con ironia sia molto meglio che affrontarle con un tono serio o addirittura noioso».
In tv spesso la si vede divertirsi con i bambini africani, ma a telecamere spente qual è il suo rapporto con quella popolazione?
«È esattamente lo stesso. Io non vado in Africa come missionario o chissà cos’altro, semplicemente vado in una terra che amo, in mezzo a una popolazione che mi stimola. Quei popoli sono estremamente affascinanti, sono preistorici: e questo mi piace. Con i bambini africani ho lo stesso rapporto che ho con quelli italiani: gioco con loro come gioco con i miei figli.

L’unica differenza è che in Africa è facile divertirsi, con una caramella ottieni la simpatia dei bambini per un mese; del resto non sono abituati a ricevere attenzioni e quando questo accade è come se impazzissero di gioia».

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