"Creiamo una rete portuale al Sud"

I dati dell'Osservatorio nautico nazionale. Il coordinatore dell’organismo, Roberto Neglia: "Laggiù arriverebbe una montagna di ricchezza che risolverebbe non pochi problemi". Nel 2009 l’impatto economico del turismo da diporto si è attestato a 1,1 miliardi di euro

"Creiamo una rete portuale al Sud"

Uno virgola uno miliardi di euro! Stiamo parlando dell’impatto economico del turismo da diporto nel 2009. Una cifra enorme. Che con qualche piccolo «accorgimento», o con una attenzione politico-istituzionale più consona, si potrebbe tranquillamente quintuplicare. I dati sono stati forniti dall’Osservatorio Nautico Nazionale, l’unico organismo che fotografa l’indotto del turismo nautico attraverso un dettagliato rapporto annuale. Per la cronaca, l’Osservatorio è stato fondato nel 2008 dalla Provincia di Genova, da Ucina-Confindustria Nautica, dall’Accademia italiana marina mercantile e dall’Università di Genova. Il «dossier 2009» ha avuto il patrocinio del ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla. Dice il suo coordinatore, l’avvocato Roberto Neglia: «I dati che colpiscono di più sono: quel 55% (degli 1,1 miliardi, ndr), vale a dire la spesa media complessiva sostenuta esclusivamente dai diportisti stanziali (ristorazione, trasporti, shopping, intrattenimento e cultura), e il restante 45% speso per i costi di ormeggio, manutenzione, accessori e componenti, e altro ancora». Considerando che l’alto Tirreno si prende una buona metà di questa torta, viene da fare un’altra riflessione: «Se si completasse una rete portuale nel Sud - aggiunge ancora Neglia - in quelle località arriverebbe una montagna di ricchezza». C’è ancora un altro aspetto da non sottovalutare: un’indagine di confronto tra il turista nautico e il turista cittadino. A sorpresa viene fuori che, fatta 100 la capacità di spesa del «nautico», il cittadino spende poco meno di 60. «Una spesa giornaliera pro capite - aggiunge Neglia - altrettanto interessante per il territorio». Una spesa, aggiungiamo, che potrebbe essere ancora più interessante se riuscissimo a sfruttare al meglio le enormi risorse che mare e coste offrono. Non vogliamo cantare il solito Kyrie, ma è davvero inspiegabile l’immobilismo, soprattutto delle istituzioni locali. Chiamiamola pure pigrizia, indolenza, ottusità o inettitudine... Pur tuttavia qualcosa si muove ma è sempre il minimo «sindacale» rispetto alla reale potenzialità del business del mare. Il convegno organizzato da Ucina in occasione del 50° salone nautico di Genova - «Dallo Stato alle regioni, sostenere la crescita» - era dedicato in gran parte al federalismo demaniale e alla semplificazione amministrativa quali strumenti di sviluppo del comparto nautico. Con l’obiettivo di analizzare la domanda turistica legata al mare (aspetti territoriali, produttivi, economici, di mercato e legislativi). L’Osservatorio Nautico Nazionale, da parte sua, si è impegnato per il prossimo anno a estendere l’indagine anche alle altre strutture minori (piccoli approdi, canali naturali, ormeggi a secco), ipotizzando, tuttavia, un calo del 26% nella spesa diretta sul territorio nel 2010. Il rapporto, inoltre, ha rilevato che i 153mila posti barca sparsi lungo le coste italiane sono così suddivisi: 25,3% nei marina turistici, 63,4% nei porti polifunzionali, 11,3% nei punti di ormeggio. Da più parti, ad esempio, si è invocata la revisione della norma che equipara i porticcioli agli stabilimenti balneari, moltiplicando i canoni anche per le concessioni già esistenti.

E allora perché in Friuli i marina e i porti a secco sono equiparati a strutture turistiche? La confusione è totale. Non è dato di sapere - ma sono solo esempi scelti a caso - per quale divino mistero la regione Friuli prende l’iniziativa mentre la sorellina pugliese si occupa di tutt’altro.

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