Al Cremlino trenini e lenticchie Tutti i regali a Lenin e compagni

Dal cannocchiale degli astronauti americani al telefono con cornetta a falce e martello

Manila Alfano

È tutto quello che resta dell’Unione Sovietica. Cianfrusaglie: una radio a forma di Cremlino, una statuetta di Lenin dopo il trapianto di capelli, il capo calvo e lucido che scompare sotto una capigliatura in stile Beatles, una penna stilografica disegnata in Italia, una divisa rossa da hockey con una foglia al centro e la scritta Canada, un bassorilievo di Bréznev stilizzato come un’icona ortodossa. Sono i regali che in settant’anni di storia, di sogni rivoluzionari infranti, di terrori siberiani, di partite a risiko con l’America, di guerre calde e fredde, di incubi atomici e lanci nello spazio sono arrivati da tutto il mondo al Cremlino.
Tutto in una mostra: «Regali ai dirigenti», inaugurata questa settimana a Mosca. Cinquecento pezzi che raccontano anni e anni di piccola diplomazia, quei pensierini che si scambiano i capi di Stato, oggetti a volte un po’ kitsch, altre con un significato politico più o meno velato, altre volte poi è solo il gesto disinteressato di un cittadino fedele alla linea. La storia è strana. Le nazioni sconfitte finiscono nei musei, quel che resta della loro grandezza sono piccoli pezzi di nostalgia. I cimeli della vecchia Ddr hanno ispirato un grande film, Goodbye Lenin, e una mezza dozzina di buoni racconti. È questo il senso di questa mostra: anche il passato più brutto ti resta dentro con una riga di rimpianto. Quasi cento anni di regali ai potenti della Russia e il risultato è un trionfo di incredibile fantasia. Si va dalla lampadina con all’interno la figura di Lenin, a modellini di gru, treni e pozzi petroliferi; si passa per una radio a forma di torre del Cremlino, fino a un’intera collezione di pipe, tutte per Stalin. E poi vasi preziosi, bambole dipinte rigorosamente a mano, costumi regionali, stendardi e stemmi, tappeti con rappresentazioni di Stalin e Lenin, o ritratti all’uncinetto e punto e croce. Oggetti tutti diversi ma con un solo scopo: omaggiare i padri dell’Unione Sovietica. Un astuccio fatto da prigionieri di guerra in Germania per il loro leader in patria, disegni di prigionieri dal Giappone, un set di oggetti per lo scrittoio che un’invalida aveva costruito per Stalin solo con i piedi. La faccia di Lenin è stata riprodotta, ridisegnata, sagomata su ogni materiale possibile: su una foglia di tabacco, su piume di diversi volatili, su pelle, su francobolli. C’è anche un Lenin piccolissimo dipinto su una lenticchia con maniacale precisione da un uomo di Calcutta nel 1976. Ovviamente per ammirarlo ci vuole una lente d’ingrandimento. Per Stalin invece si può ammirare una versione metallica, realizzata con perni, viti e dadi presi a prestito dall’aviazione. L’esposizione vuole essere uno spunto per pensare al regalo come mezzo di comunicazione e di contatto e, in alcuni casi, per chiedere spudoratamente in cambio qualche cosa. Nel 1933 il barbiere Gregari Borùjov voleva entrare a lavorare a palazzo a tutti i costi. Inviò al Cremlino un ritratto di Lenin confezionato interamente con capelli dei suoi clienti, con un bigliettino in cui, oltre a sottolineare con orgoglio di essere il primo cittadino sovietico a utilizzare quella tecnica per i ritratti, chiedeva «un posticino dove poter lavorare».
L’esposizione si divide in tre scenari: il primo a forma di spirale ripercorre la storia della Rivoluzione. La spirale culmina in una bilancia per neonati, regalata a Stalin da una fabbrica del Kazakistan. Più in là un’altra zona esalta il culto per l’elettricità e per l’industrializzazione. In fondo una sezione dedicata all’ultimo dirigente dell’Urss: Mikhail Gorbaciov.

Un cannocchiale donato da astronauti americani, le chiavi di Praga, Varsavia e San Francisco, e una maglia di hockey della squadra nazionale canadese. «Qui la politica diventa viva. Ma in questa esposizione c’è sia l’amore sia la paura», afferma l’architetto Yevgueni Ass, il commissario della mostra.

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