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Un crescendo di insulti per catturare voti Ma la base è stufa del monarca assoluto

RomaNon è certo un pranzo chiarificatore quello che va in scena nel ristorante della Camera poco prima delle due. Antonio Di Pietro, Massimo Donadi e Leoluca Orlando, infatti, seduti allo stesso tavolo chiacchierano amabilmente e da lontano non è difficile scorgere anche qualche sorriso. Gesti che valgono più di tante parole, soprattutto quelle pronunciate dal presidente dei deputati dell’Idv di prima mattina. Quando Donadi prende le distanze dal suo leader e fa sapere di avere «un’opinione diversa» sull’operato di Napolitano. Qualcuno arriva a interpretarla come una rottura all’interno del partito, un primo scricchiolio in un movimento che è monolitico più della Lega e dove Di Pietro non ha mai tentennato un attimo nella sua gestione familistica e padronale. Invece no, perché nella bilancia che calibra il giusto equilibrio tra partito di lotta e partito di governo quella di Donadi non è altro che una mano tesa al Colle che raramente aveva reagito in maniera tanto dura alle parole di un leader politico. Azione diplomatica andata avanti fino a sera, quando il presidente dei deputati dell’Idv ha alzato il telefono per chiamare il segretario generale del Quirinale Donato Marra e ribadire «la massima stima» verso Napolitano, anche da parte di Di Pietro.
D’altra parte, seguendo il parallelo con il Carroccio, non è facile giocare sempre sul filo dell’equivoco. Aveva le sue difficoltà Umberto Bossi quando minacciava la secessione e disprezzava il tricolore come oggi Di Pietro quando suona la carica ai movimenti e dà fiato alla pancia più giustizialista del Paese. E la polemica feroce che ha seguito l’uscita di Sabina Guzzanti a piazza Navona sul Papa e su Mara Carfagna è solo la punta dell’iceberg. Così, ci sta che il Quirinale sia da tempo freddo con l’ex pm che oltre a costituire un impedimento sulla via del dialogo e di riforme condivise è pure uno dei più feroci critici dell’operato di Giorgio Napolitano. Che, per capirci, ha avuto la colpa di firmare il Lodo Alfano senza rimandarlo al mittente. «Immorale», chiosò Di Pietro annunciando la raccolta delle firme per il referendum abrogativo. Quello di piazza Farnese, dunque, è solo l’ultimo atto di una lunga querelle e la frenata mattutina di Donadi non è altro che il modo per evitare di arrivare ai ferri corti con il Quirinale. Nonostante Orlando non perda occasione per fare capolino sui divanetti del Transatlantico, tra colleghi deputati e giornalisti, a spergiurare che «mai l’Italia dei valori ha attaccato Napolitano». Insomma, «volete sapere la verità?». «Ci colpiscono e ci accusano di eversione - rivela candido - per colpire il nostro ruolo di opposizione intransigente». Tutti, da Berlusconi a Veltroni passando ovviamente per il Quirinale.
Ma sulla similitudine tra Idv e Lega si può insistere. Perché, spiega Pino Pisicchio, «come il Carroccio siamo concentrati su poche e decisive battaglie che trovano una sponda nell’elettorato più di pancia». E perché, aggiunge un senatore che preferisce l’anonimato, «come la Lega siamo un partito di soldati che si mettono sull’attenti appena Di Pietro chiama». E qui sta il punto. Perché non è tanto il caso Napolitano che ha mandato in fibrillazione l’Idv quanto la monarchia assoluta di Di Pietro e dei suoi famigli. A loro tutto è permesso, tanto che Gabriele Cimadoro - deputato e cognato di Tonino - se ne sta comodamente in Transatlantico a spipacchiare il sigaro. Agli altri nulla, al punto che i peones hanno dovuto disertare Montecitorio per quasi un mese dopo una sfuriata di Di Pietro. «Finché non arrivate a raccogliere il numero di firme che avevate come target non fatevi più vedere qui», aveva sbottato l’ex pm un mesetto fa, quando le 500mila firme contro il Lodo Alfano sembravano a rischio. Con buona pace dei 206,58 euro che vengono detratti dall’indennità mensile per ogni giorno di assenza alle votazioni.
Così, la pattuglia inizia ad essere insofferente e qualcuno si guarda intorno nella speranza di cambiare cavallo magari per le europee. «L’aria è un po’ pesante», ammette un deputato del Sud. «Non solo perché siamo in una monarchia assoluta - spiega - ma pure perché siamo sempre più isolati». Anche nel Pd, infatti, il livello di insofferenza verso l’Idv è altissimo, tanto che il vicepresidente dei deputati Fabio Evangelisti replica per iscritto alle accuse di «eversione» arrivate da Luciano Violante mentre Stefano Pedica non esita a definire «vergognose» le accuse della sua collega Anna Finocchiaro. Eppoi, sono in molti ad avere una storia politica ben lontana dal popolo del web, dai girotondi e dal grillismo se è vero che «il 57% dei 42 parlamentari dell’Idv viene dalla ex Dc» mentre liste civiche e movimenti sono rappresentati solo al 12%. «Resta - completa il quadro Pisicchio - un 17% di politici “prodotti in casa”, un 10% di ex comunisti e un 2-3% di ex Lega e ex Msi».

Insomma, il rischio che il giocattolo possa rompersi esiste davvero.

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