LA CRESCITA NON C’È E I CONTI NON TORNANO

Non staremo a sottolineare che mentre lui confermava ieri al Meeting di Cl a Rimini la dimensione della nuova manovra economica (35 miliardi di euro) altri ministri come Ferrero e Nicolais dicevano esattamente il contrario, ipotizzando di spalmare su di un biennio la correzione dei conti pubblici per 20 miliardi di euro. Non vogliamo chiedere conto di questa divaricazione tra ministri che pure ogni giorno campeggia sui giornali.
A Bersani vogliamo chiedere qualcosa di diverso e di più. Lui è alla guida di un ministero che ha cambiato nome ed è stato ultimamente battezzato con l’appellativo di ministero per lo sviluppo. Possiamo chiedergli di quale sviluppo parla? Le tabelle contenute nel Documento di programmazione finanziaria presentato dal governo indicano come obiettivi programmatici, cioè il meglio che si possa attendere, una crescita economica tra l’1,5 e l’1,7% del Pil tra il 2008 e il 2010. Tanto per essere chiari, insomma, il governo spera di far crescere la nostra economia se tutto va bene di quasi un punto in meno di quelle dei Paesi della zona euro. Già quest’anno la Francia crescerà del 3%, la Spagna del 3,4 e la Germania di oltre il 2%, mentre l’Italia spera di arrivare all’1,5-1,6% del Pil. È questo, dunque, il tasso di crescita che Bersani e il governo di cui fa parte indicano al Paese come «il sol dell’avvenire»? Non scherziamo. Bersani sa quanto noi che con una crescita di quel livello non c’è risanamento che tenga, perché il famoso rapporto deficit/Pil che l’Europa ci chiede di contenere è influenzato, come abbiamo più volte detto, oltre che dal numeratore (il deficit) anche dal denominatore (il Pil). Se quest’ultimo non cresce in maniera sufficiente, le politiche di contenimento di quel rapporto vanno in cavalleria.
E Bersani davvero pensa che la vicenda dei taxisti, la vendita dei farmaci generici nei supermercati e altre cose di questo genere, ancorché giuste, possano dare la famosa scossa a un’economia come quella italiana che ogni anno che passa perde un punto nell’incremento di produttività del lavoro rispetto ad altri Paesi? Bersani sa anche per sua esperienza diretta che le politiche liberalizzatrici o coinvolgono simmetricamente i Paesi europei, o aprono le porte alla colonizzazione. Bersani, infine, sa che una correzione dei conti pubblici di 20 miliardi di euro significa toccare nel profondo, vuoi con la riduzione di spesa o con l’aumento di entrate, peraltro sempre più probabile, il reddito disponibile delle famiglie e delle imprese.

E a fronte di sacrifici di questa portata, l’orizzonte dello sviluppo che si offre al Paese può essere un tasso di crescita di appena un punto e mezzo del Pil?
Bersani sa che su questa linea non tiene la coesione sociale del Paese e siamo forse già troppo in ritardo per non pensare, da subito, a un new deal economico che faccia accettare sacrifici per un futuro migliore senza lasciarsi offuscare dalla velenosa superbia del nuovo ruolo militare nel Medio Oriente.

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