Il crollo dell’impero alimentare ha travolto 35mila risparmiatori

Un crac che ha bruciato milioni di euro di investimenti e travolto 35mila risparmiatori: il fallimento della Cirio di Sergio Cragnotti, nel 2002, suona il campanello d’allarme di un intreccio distorto tra industria e finanza che raggiungerà l’apogeo di lì a poco con il dissesto epocale di Parmalat. Due vicende che, almeno per un momento, si sono intrecciate: proprio per pagare l’acquisto di Cirio, infatti, nel 1999 Cragnotti vende Eurolat a Calisto Tanzi al prezzo record di 800 miliardi di lire, in modo da restituire alla Banca di Roma, allora guidata da Cesare Geronzi, una parte del prestito ottenuto fino allora.
In quel momento, il dissesto sembra ancora lontano: l’impero alimentare di Cragnotti agli occhi del mondo è solido e ad accendere i riflettori su di lui è soprattutto il successo della sua Lazio, che ha portato in Borsa - prima squadra di calcio in Italia - e poi allo scudetto. L’ex uomo di fiducia di Raul Gardini e ad di Enimont ha avuto la sua occasione all’inzio degli anni Novanta: è allora che acquista da Federconsorzi la Fedital, la società che possiede Polenghi Lombardo, gettando così le basi di un polo lattiero, su cui anni dopo innesterà Cirio. Un «boccone» troppo grosso, in realtà, nonostante i finanziamenti che i grandi istituti di credito, e la Banca di Roma più di ogni altro, continuano ad erogare a Cragnotti per espandere quello che ormai è diventato un impero che spazia dall’Europa all’America. Così, tra il 1997 e il ’98 il finanziere mette a segno una spericolata operazione: vende Cirio alla Bombril, l’azienda brasiliana del gruppo, per 380 milioni di dollari in contanti e l’anno dopo la riacquista a credito, tramite una holding lussemburghese. Poi tocca al polo lattiero del gruppo essere sacrificato per ripagare almeno parzialmente il debito: gran parte della plusvalenza finisce direttamente alla Banca di Roma.
Ma non basta ancora: per questo Cragnotti emette obbligazioni per un miliardo e 125 milioni di euro in bond Cirio, più della metà dei quali vengono collocati ai piccoli e medi risparmatori invece che ai soli investitori istituzionali, come avrebbe dovuto essere, nella cosiddetta fase di contrattazione legata al grey market (mercato grigio). Il tutto con l’assistenza del sistema bancario tra cui Banca di Roma: obiettivo, trasferire il rischio della sempre più probabile insolvenza delle aziende di Cragnotti dalle banche agli acquirenti delle obbligazioni emesse in Lussemburgo (perciò non dotate di rating). Bond che tra il 2000 e il 2002 danno rendimenti del 6,9%, quando i Bot offrono a malapena il 2,2%: ma che di lì a poco si trasformano in carta straccia. Quando, il 2 novembre 2002, scade la prima emissione di 150 milioni, e Cragnotti non ha i soldi per restituire il prestito, il castello di carte crolla. La Banca di Roma stacca la spina dei finanziamenti: per Cirio è la bancarotta finanziaria, anche se l’amministrazione straordinaria riuscirà a salvare in qualche modo l’attività produttiva, cedendo gli stabilimenti al gruppo Conserve Italia.


Ma un’ombra - e che ombra - resta sul sistema bancario, e sul suo controllore di allora, il Governatore di Bankitalia Antonio Fazio: non a caso, nel 2003 l’inviato di Striscia la notizia tenta di consegnargli il simbolico Tapiro, ma viene respinto malamente dalle guardia del corpo. A più alti livelli, ad accusare Fazio è il ministro dell’Economia - allora come oggi -, Giulio Tremonti: che, a futura memoria, tiene sulla scrivania come portapenne un barattolo di pelati Cirio.

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