Il crollo dell'Urss ci fece sperare. Ma il passato rimane spesso tabù

Gaetano Quagliariello ricorda il suo percorso assieme ad Aga Rossi contro i preconcetti

Il crollo dell'Urss ci fece sperare. Ma il passato rimane spesso tabù
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Gli ottantacinque anni di Elena Aga Rossi mi suscitano il ricordo di un altro anniversario. Nel 1995, trent'anni fa, proprio con Elena Aga Rossi organizzai un Convegno sulla storia comparata del Partito comunista francese e di quello italiano (L'altra faccia della luna. I rapporti tra Pci, Pcf e Unione Sovietica). Quell'incontro ebbe un prologo che si svolse alla Luiss di Roma, nelle stesse sale che hanno ospitato le due giornate di studio dedicate a Elena. Presentammo allora l'edizione italiana del libro di François Furet Il passato di un'illusione, una delle prime grandi sintesi sulla storia politica del XX secolo. Oltre Furet, vi erano Renzo De Felice e Annie Kriegel. Victor Zaslavsky, nell'occasione, tenne una relazione sulle potenzialità degli archivi dell'ex Unione Sovietica da poco disponibili, per il rinnovamento della storiografia. Si viveva una fase di grandi aspettative.

Quei maestri, diversi per interessi, percorsi di studio, propensioni metodologiche, erano accomunati dall'avere inteso la storia come qualcosa di profondamente diverso dalla lotta politica praticata con differenti mezzi. Ritennero allora che qualcosa di duraturo potesse cambiare. Sperarono che la ricerca della verità potesse prendere il sopravvento sullo scontro ideologico. E che la storia politica potesse uscire dal tempo nel quale ogni partito aveva i propri riferimenti della casa, ai quali affidava l'arca santa dei propri archivi. Già poco dopo, però, si dovette prendere atto che le cose sarebbero state più complesse.

L'uso pubblico della storia, da allora in poi, avrebbe intrapreso percorsi certamente più contorti e in un certo senso meno smaccatamente strumentali. Ma non per questo ci si liberò dalla sudditanza nei confronti delle passioni e delle contrapposizioni che affollavano l'arena politica ufficiale. Al punto che, per quanto concerne l'Italia, non sarebbe difficile tracciare un percorso storiografico parallelo e simmetrico a quel conflitto tra berlusconismo e antiberlusconismo che ha egemonizzato gli anni tra il 1994 e il 2013.

Aga Rossi, rispetto a questi itinerari, ha viaggiato controcorrente. Ha aperto piste di ricerca su nodi storici che erano considerati tabù o, per precisione, verità inconfutabili. Ha messo in collegamento la storia nazionale con i grandi scenari geopolitici rendendola meno angusta. Ha basato le sue analisi su documenti, in luogo di teorie fondate spesso sul pregiudizio ideologico. In un mondo nel quale, troppo spesso, l'eccessiva concettualizzazione è servita a non fare i conti con verità semplici a volte scontate , ha portato una linearità di stampo anglosassone. Un contributo affinché la storia non si confinasse in territori noti solo agli iniziati, lasciando spazi sconfinati a divulgatori spesso di assai modesta levatura.

Elena, per tutte queste ragioni, non ha avuto una carriera semplice. Gli esempi, a sostegno di tale affermazione, si sprecano: il suo libro sui motivi per i quali il Proclama Alexander avrebbe risposto a logiche innanzitutto militari e non allo scopo di indebolire la resistenza è passato sotto silenzio; gli studi sulla natura plurale della resistenza e sulle vicende dei nostri militari che l'8 settembre si trovavano fuori dai confini sono stati ritenuti revisionistici; la documentazione del ruolo avuto da Stalin nella genesi della svolta di Salerno è stata a lungo ritenuta sovrastrutturale.

Si potrebbe continuare. Ma questi esempi bastano a comprendere come il Convegno che le è stato dedicato, più che un atto dovuto sia stato un risarcimento.

Se si presta attenzione a chi vi ha preso parte considerandone il peso, l'orientamento e l'appartenenza generazionale viene da pensare che, rispetto a quell'alba di post Guerra fredda di trent'anni fa, il tempo in fondo non è trascorso invano.

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