"Irresistibile desiderio di vendetta". Ergastolo per l'assassino di Alessandra Matteuzzi

Lo scorso 12 febbraio Giovanni Padovani è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio della ex fidanzata. Secondo i giudici il delitto "fu motivato da un irresistibile desiderio di vendetta"

"Irresistibile desiderio di vendetta". Ergastolo per l'assassino di Alessandra Matteuzzi
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L'omicidio di Alessandra Matteuzzi fu "un vero e proprio agguato preparato nelle sue linee essenziali di azione". È quanto scrivono i giudici della Corte d'Assise di Bologna nelle motivazioni della sentenza con cui Giovanni Padovani, l'ex fidanzato della 56enne, è stato condannato all'ergastolo lo scorso 12 febbraio. Al killer sono state riconosciute tutte le aggravanti contestate dalla procura, a partire dallo stalking fino alla premeditazione.

L'ideazione dell'omicidio

Secondo la Corte, Padovani progettò l'omicidio dell'ex fidanzata, massacrata a colpi di martello, calci e pugni sotto casa sua, a Bologna, la sera del 23 agosto 2022. Ci fu "l'ideazione da parte dell'imputato di un proposito vendicativo manifestato fin da giugno e nel luglio 2022 con estrema lucidità" si legge nelle motivazioni della sentenza. "Deve ritenersi acquisita - proseguono i magistrati - la prova che la condotta omicidiaria non sia stata determinata da un mero moto d'impeto ma sia maturata e si sia progressivamente radicata negli intenti dell'omicida, sia stata persino preannunciata nelle confidenze fatte a terzi e alla madre nelle annotazioni sul cellulare, e poi attuata secondo un piano predeterminato, comprensivo della scelta dell'arma da usare e del luogo in cui colpire".

Il movente

Quanto al movente, i giudici escludono che l'ex calciatore abbia agito per gelosia che "semmai, costituì il movente del delitto di atti persecutori". Mentre l'omicidio fu motivato "da un irresistibile desiderio di vendetta, uno tra i sentimenti più irragionevoli, eppure imperativi". Pertanto "non fu un 'omicidio d'amore'" ma "un 'delitto d'onore', sia pure nella malintesa accezione di quest'ultimo".

Padovani e il "controllo ossessivo-maniacale"

Come è emerso dalle indagini preliminari, Padovani controllava costantemente la ex fidanzata, chiedendole conto di eventuali spostamenti e persino dell'attività sui profili social. Anche su questo punto i giudici non fanno sconti all'imputato sottolineando "il carattere ossessivo-maniacale" e "delle forme di controllo" che il giovane attuava nei confronti della compagna. "Come fosse stato spinto da una forza irresistibile, - precisano - ingenerata da un sentimento di rancore e da un senso di frustrazione, a ritornare a Bologna per assassinarla".

"Dall'imputato una messinscena"

Infine, secondo i magistrati Padovani avrebbe simulato i sintomi di "una malattia psicopatologica" negli snodi decisivi del processo.

Inoltre non ha collaborato nell'appurare la verità, poiché anche nella circostanza della confessione avrebbe fornito "scarni elementi sul tema". Per la Corte, in ogni caso, è indubbia la "precisa volontà dell'imputato di privare la donna della vita", visto "il numero, la qualità e la direzione dei colpi inferti verso organi vitali".

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