"Continuano a suicidarsi". I migranti si ribellano ai trafficanti dopo l'ennesimo naufragio

Il naufragio del barchino con 49 persone a bordo ha scaldato gli animi al di là del Mediterraneo, dove cresce la rabbia: "Se non è un criminale..."

Foto di repertorio
Foto di repertorio

Il naufragio del barcone partito da Sfax con 49 persone a bordo, appartenente “alla rete camerunense”, ha infiammato gli animi nelle chat dei migranti. Sono stati solo 15 i superstiti e ora gli stessi africani iniziano a ribellarsi ai camorasseur, ossia agli organizzatori dei convogli, accusati di intascare i soldi senza garanzie di sicurezza, sovraccaricando i barconi per guadagnare di più. Niente di strano, considerando che si tratta di trafficanti di esseri umani che guadagnano sulle tratte illegali.

“Siete complici della loro morte, date le informazioni sulle partenze ma non pianificate la sicurezza”, si legge in uno dei tanti commenti inferociti. Nel flusso di informazioni che man mano si diffondono in quelle chat, viene sottolineato come il barcone sia partito con un motore di appena 25 cavalli e senza nessuno strumento di orientamento. Una delle risposte non lascia dubbi: “Ma perché continuano a suicidarsi ogni giorno?”. C'è chi chiama le traversate col loro nome, senza troppi giri di parole: "Questo tipo di traffico è omicidio".

Nelle chat di Whatsapp gli animi sono ancora più tesi: “Sono pronti a pubblicare i loro annunci di ricerca per riempire i convogli ma un camorasseur che mette 49 persone su un barchino, se non è un criminale, che cosa è?”. Tra i messaggi troviamo quello di una persona che sembra aver avuto contatti con quel trafficante: “Quando hanno detto che il tempo non era così buono ho detto: ‘Camo, che vuoi fare?’. Ecco ora il danno che hai creato. I soldi servono, ma anche la vita umana è importante”.

Qualcuno cerca anche di fare un'analisi più approfondita del fenomeno: "Onestamente, cosa viene in testa alla gente per avere il coraggio di prendere acqua e affidarsi alle persone che vengono a salvarti? Dobbiamo combattere questo sistema, per loro è diventato come un gioco, certo, ma cos'è?". E a differenza del nostro Paese, dove i buonisti dell'accoglienza gridano "accogliamoli tutti", quasi incentivando le partenze, dall'altra parte del Mediterraneo sembra esserci più realismo che ideologia: "Ma cosa si aspettano correndo questo rischio?"

La percezione è di un clima che sta cambiando: sempre più spesso nelle pagine social dedicate ai migranti si trovano annunci di “missing”, di persone che sono salite su quei barconi e che non sono mai arrivate a destinazione. E sono iniziate a comparire anche per l’ultimo naufragio: “Per favore, possiamo avere le foto delle vittime? Abbiamo nostri cari che sono partiti e non sono raggiungibili". Questa narrazione comincia a colpire nel segno e a sollevare dubbi agli stessi migranti sulle modalità di partenza: “Perché andare avanti con tutto quello che sta succedendo?”.

Ma a fare da contraltare ci sono le immagini dei migranti che hanno più fortuna, di quelli che riescono ad arrivare nelle acque Sar italiane e a salire sulle motovedette della nostra Guardia costiera. Immagini che arrivano, spesso, direttamente dal ponte dei nostri mezzi militari che li conducono in Italia. “Convoglio riuscito!”, gridano in favore della telecamera del loro smartphone, mentre registrano il video da inviare al loro camorasseur. Lo stesso che hanno pagato e che ha messo la loro vita in pericolo per mettersi in tasca qualche dinaro in più.

Lo stesso che userà quel video per reclutare tanti altri subsahariani tra quelli che affollano la Tunisia, pronti a lasciare il Nordafrica. “Così tanti morti… Ma perché non fermarsi?”, chiede un utente nelle chat tra gli africani, commentando la notizia dell’ultimo naufragio. “Business”, è questa la risposta alla rabbia che cresce.

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