Guerra in Israele

Finanzia gli estremisti e si accredita da mediatore: dalla Jihad allo sport, tutte le ambiguità del Qatar

Da Doha soldi a pioggia ad Hamas, Hezbollah e Isis. Ma vuole trattare per lo scambio di ostaggi

Finanzia gli estremisti e si accredita da mediatore: dalla Jihad allo sport, tutte le ambiguità del Qatar

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La trattativa, come d'uso in queste situazioni, viene smentita dalle parti coinvolte. «L'operazione militare continua e la resistenza continua a difendere i diritti del nostro popolo, al momento non è possibile alcun negoziato», dice Hamas. Ma le fonti che parlano di colloqui per uno scambio di ostaggi sono numerose. Donne e bambini israeliani rapiti potrebbero essere restituiti in cambio delle 36 prigioniere palestinesi detenute nelle carceri di Gerusalemme. A mediare sarebbe il Qatar, uno dei protagonisti nascosti della guerra iniziata sabato.

Da 15 anni il Paese è il principale finanziatore di Hamas, anche se ufficialmente i suoi soldi vanno a sostenere l'economia e gli abitanti di Gaza. A lungo Israele, più o meno mugugnando, ha lasciato fare, nella speranza che i soldi rendessero davvero meno esplosiva la situazione. Nessuno dubita, però, che una buona fetta del denaro (si parla di un miliardo di dollari) sia andato, direttamente o indirettamente, ad armare il gruppo militare che domina l'exclave. Da anni Doha ospita anche la guida politica del movimento terrorista. Sono diventate virali le immagini di Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas, che nella capitale qatariota, circondato dal suo staff, guarda ridendo alla televisione le immagini dell'invasione e poi si inginocchia in una preghiera di ringraziamento. Ieri i dirigenti di Hamas hanno incontrato il premier qatariota. Facendo leva sulle sue immense risorse di gas (terzo Paese al mondo dopo Russia e Iran, mentre è di fatto irrilevante la produzione petrolifera) Doha appoggia e finanzia tutti i movimenti dell'estremismo islamico: da Hezbollah agli ultimi epigoni di Isis e Al-Qaida, fino a Fratellanza Musulmana e Talebani. Tanta generosità è frutto di una precisa strategia politica a suo tempo esplicitata dall'emiro Tamim Bin Hamad Al Thani in un'intervista alla tv di casa, Al Jazeera. L'ipotesi era quella di creare un nuovo ordine regionale in una «santa alleanza» con gli islamisti, in cui l'emirato avrebbe esercitato un ruolo di leadership.

Le circostanze hanno messo un po' in ombra l'obiettivo, ma resta costante l'altra direttrice della politica qatariota: la volontà di ostacolare in ogni modo il grande vicino, l'Arabia Saudita. Da questo punto di vista la fine della pacificazione tra Ryad e Israele, con il congelamento dei Patti di Abramo, non potrà non aver fatto piacere dalle parti di Doha. Anche in funzione anti-Arabia Saudita si può spiegare l'altro grande obiettivo perseguito dal Qatar in questi anni, l'accreditarsi in Occidente, a dispetto dei rapporti con gli islamisti, come primo interlocutore all'interno del mondo arabo. Qui lo strumento privilegiato (se si eccettua la maldestra azione corruttiva tentata al Parlamento europeo e culminata nel cosiddetto Qatargate) è stato lo sport. Il termine «sportwashing», il tentativo di ripulirsi immagine e coscienza grazie soprattutto al calcio, si adatta perfettamente alla linea di azione di Doha: prima l'acquisto del Paris Saint-Germain (investiti più di due miliardi) poi i Campionati del Mondo del 2022, su cui da sempre circolano rumors di mazzette, l'estate scorsa perfino una quota in una squadra della Nba Usa. Per presentare al mondo un volto pulito Doha non ha basato a spese. Ieri un anonimo funzionario Usa ha assolto il Qatar: «Anche loro sono stati colti di sorpresa».

Nel Paese gli Usa hanno la più grande base della regione: 10mila soldati nel compound di Al Udeid.

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