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"Ne ho uccise 185". La scia di sangue di detto “Happy Face Killer

Conosciuto anche come “Happy Face Killer”, Keith Jesperson ha assassinato almeno otto donne negli Stati Uniti durante i primi anni Novanta. Ma il bilancio potrebbe essere molto più consistente

"Ne ho uccise 185". La scia di sangue di Keith Jesperson detto “Happy Face Killer”
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Nella stragrande maggioranza dei casi non si ha mai piena conoscenza del numero di vittime di un serial killer. Il conto può variare anche in modo sensibile, a seconda dell’affidabilità delle confessioni e dell’attività degli investigatori. Il progresso tecnologico ha fornito un grande contributo, ma non può certamente bastare. Una delle storie più difficili da decifrare è quella di Keith Jesperson, assassino seriale canadese-americano che ha ucciso almeno otto donne - principalmente prostitute - all’inizio degli anni Novanta. Ma il conto in realtà potrebbe essere molto più consistente: secondo lo stesso Jesperson, le vittime sarebbero 185. Nessuno saprà mai la verità.

Infanzia e adolescenza

Keith Jesperson nasce il 6 aprile del 1955 a Chilliwack, British Columbia, in Canada. È il terzo di cinque figli e ha una situazione familiare tutt’altro che serena: il padre Leslie è un alcolizzato, mentre il nonno paterno è spesso incline alla violenza. Tanti gli abusi sofferti sin dalla tenere età, tanto da essere trattato come una pecora nera dalla sua stessa famiglia. Jesperon viene regolarmente preso in giro dagli altri bambini per la sua stazza e già da giovanissimo coltiva alcune sadiche ossessioni come la tortura e l’uccisione degli animali.

Sono tante le difficoltà affrontate da Keith Jesperson tra infanzia e adolescenza. Emarginato tra le mura domestiche, ha delle grandi difficoltà a stringere legami con gli altri ragazzi. Si ritrova spesso a giocare da solo e la situazione non migliorerà con il passare degli anni. Inoltre il suo comportamento inizia a cambiare e non in positivo: Jesperson non si comporta in maniera adeguata né a scuola, né a casa e viene spesso messo in punizione dal padre, che non lesina una buona dose di violenza. Il futuro serial killer racconterà di aver ricevuto anche una scossa elettrica.

Come anticipato, Keith Jesperson si dedica spesso alla cattura e alla tortura degli animali. Rimane affascinato da crudeltà, dalla possibilità di togliere la vita a un essere vivente, il più delle volte un cane o un gatto randagio. Con il passare del tempo e delle vittime, perfeziona il suo modus operandi: prima picchia duramente l’animale per poi strangolarlo a morte. Dagli animali all’uomo il passo è breve: all’età di dieci anni prova ad ammazzare un amichetto di nome Martin, salvato dall’intervento del padre, mentre un anno più tardi prova ad annegare un altro ragazzino conosciuto al lago.

Gioie e delusioni

Ottenuto il diploma nel 1973, Keith Jesperson non frequenta l’università per la contrarietà del padre. Deluso dall’accaduto, punta a realizzarsi sia a livello lavorativo che a livello familiare. Terminato il liceo, inizia una relazione con Rose Hucke e i due si sposano nel 1975. Dal loro amore nascono tre figli, due femmine e un maschio. Il matrimonio terminerà dopo quattordici anni, con il divorzio firmato nel 1990.

Keith Jesperson si guadagna da vivere come camionista ma il suo sogno è un altro, entrare nella Royal Canadian Mounted Police (RCMP). Alto 201 centimetri per 116 chili, Jesperson si infortuna durante l’addestramento ed è costretto ad abbandonare i suoi desideri. Trasferitosi a Cheney, Washington, torna a lavorare come camionista, un impiego che gli consentirà di soddisfare le sue pulsioni assassine.

Keith Jesperson diventa “Happy Face Killer”

Keith Jesperson miete la prima vittima nel gennaio del 1990. A Portland, in Oregon, incontra Taunja Bennett davanti a un bar e la invita in una casa in affitto. Ad un certo punto scoppia un litigio e l’uomo la strangola a mani nude, in maniera brutale, per poi sbarazzarsi del suo corpo. Uccidere gli piace, diventa rapidamente un’ossessione e dopo un anno torna in azione.

Il 30 agosto del 1992 Keith Jesperson uccide un’altra donna, Claudia (corpo non identificato), il cui corpo verrà trovato nei pressi di Blythe, in California. Il modus operandi è sempre lo stesso. A settembre, invece, è il turno della prostituta Cynthia Lyn Rose. Una scia di sangue senza fine: passano due mesi e Jesperson uccide la quarta donna, Laurie Ann Pentland, un’altra prostituta.

Keith Jesperson viene ribattezzato “Happy Face Killer” perché disegna delle faccine sorridenti sulle lettere inviate ai media e alle autorità. L’uomo torna ad uccidere nel giugno del 1993 a Santa Nella, in California: la vittima è Patricia Skiple, in un primo momento scambiata per una morte per cause naturali. Nel settembre del 1994 viene ritrovato il corpo senza vita di un’altra donna – Suzanne L. Kjellenberg (identificata nell’ottobre del 2023) – a Crestview, in Florida.

L’ultimo assassinio ufficiale è quello che gli costa l’arresto. Nel marzo del 1995 Keith Jesperson strangola e uccide Julie Winningham. Interrogato per la serie di omicidi, in un primo momento rifiuta di parlare e viene rilasciato. Dopo due tentativi di suicidio, decide di costituirsi e inizia a confessare nella speranza di una sentenza clemente.

I dubbi sul numero di vittime

Keith Jesperson inizia a rivelare i dettagli dei suoi omicidi agli investigatori, ma già dopo pochi giorni inizia a ritrattare le sue confessioni. Il numero di vittime ufficiale è legato alla lettera scritta al fratello, in cui afferma di aver assassinato otto donne nell’arco di cinque anni. A un certo punto, il killer afferma di aver ucciso 185 donne tra Washington, California, Nebraska, Florida, Wyoming e molti altri Stati.

Keith Jesperson viene condannato a tre ergastoli per l’uccisione di otto donne e viene rinchiuso nel penitenziario statale di Salem, in Oregon.

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