Cronaca locale

Cantù, sindaco nega festa pubblica del Ramadan: arriva la condanna a pagare le spese legali

Il primo cittadino di Cantù aveva negato all'associazione Assalam il permesso di svolgere le celebrazioni in un capannone nella periferia della città. Dopo la sentenza del Tar, arriva anche la condanna a pagare le spese legali

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Sindaco di Cantù (Como) nega all'associazione culturale Assalam di festeggiare il Ramadan in un capannone industriale sito nella periferia della città; dopo la sentenza del Tar della Lombardia, emessa il mese scorso, arriva adesso anche la condanna a pagare le spese legali.

La condanna

Oltre a dare ragione all'associazione Assalam, i giudici hanno condannato il sindaco di Cantù al pagamento delle spese legali sostenute dal centro, stimate intorno ai 500 euro. A ciò andranno ad aggiungersi gli oneri fiscali e altre spese, cosa che farà inevitabilmente salire la cifra.

"Nella comparazione degli opposti interessi, appare prevalente quello al libero esercizio dell'attività di culto rispetto a quello legato all'accertamento della compatibilità urbanistica del temporaneo mutamento di destinazione d'uso dell'immobile", è quanto si legge nella stenza riportata da Il Giorno. Da qui dunque la condanna "al pagamento delle spese della presente fase cautelare, nella misura di 500 euro, oltre spese generali, oneri fiscali e previdenziali, se ed in quanto dovuti".

Cosa era successo

Tutto è cominciato quando il sindaco di Cantù Alice Galbiati ha negato all'associazione Assalam il permesso di usufruire del capannone di via Milano. Da lì è cominciata la battaglia legale, col centro islamico andato a rivolgersi al Tar di Milano, presentando un ricorso. Il mese scorso il tribunale amministrativo si è espresso a favore dell'associazione culturale, accogliendo la sua richiesta e consentendo lo svolgimento delle celebrazioni del mese del digiuno sacro. "Tar e Consiglio di Stato hanno stabilito che il capannone di via Milano non può essere un luogo di culto ed è singolare che lo stesso Tar continui a consentire la preghiera", aveva commentato il sottosegretario all'Interno Nicola Molteni, come riportato dal portale Espansionetv.it. "Il Tribunale amministrativo ha ribadito che il diniego è illegittimo perché prevale il diritto di culto, ma l’amministrazione continua a negarlo", era stata la replica di Vincenzo Latoracca, avvocato dell'associazione Assalam.

Dall'8 marzo all'8 aprile, dunque, si sono tenute le celebrazioni. "Non concordiamo con la posizione espressa dal Tar nel decreto ma rispettiamo la pronuncia. Verificheremo il rispetto delle condizioni di sicurezza e di tutela della salute pubblica e saremo pronti ad assumere provvedimenti laddove dovessimo riscontrare violazioni", aveva dichiarato il primo cittadino, commentando la decisione.

Il capannone di via Milano, infatti, non era considerato un luogo consono per ospitare delle manifestazioni di quel tipo.

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