
Se anche la Camera rifiutasse l'autorizzazione a procedere, un processo per il caso Almasri si potrebbe tenere ugualmente. Un processo dove sul banco degli imputati siederebbe una sola persona, il capo di gabinetto del ministero della Giustizia Giusi Bartolozzi: ma che si tradurrebbe di fatto in un processo all'intero governo, con la premier Giorgia Meloni e i suoi ministri costretti a sfilare come testimoni raccontando sotto giuramento la loro versione su quanto avvenne tra il 19 e il 21 gennaio scorsi, ovvero tra l'arresto del generale-torturatore e la sua riconsegna alla Libia.
È questo lo scenario che si intravvede dietro le mosse congiunte della Procura della Repubblica di Roma e del tribunale dei ministri, sfociato nella archiviazione della posizione della Meloni e della richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano, accusati di rifiuto di atti d'ufficio, favoreggiamento e peculato per non avere consegnato Almasri alla Corte dell'Aja. Né la Procura né il tribunale si fanno illusioni sull'esito della loro richiesta: la maggioranza di centrodestra, alla ripresa dei lavori parlamentari, si appresta a schierarsi per il rifiuto dell'autorizzazione, certificando che i membri del governo sono coperti dall'immunità avendo agito in nome della sicurezza nazionale. Il voto del centrodestra si annuncia compatto sia all'interno della Giunta per le autorizzazioni a procedere, dove il voto si terrà a scrutinio palese, sia in aula, dove il voto segreto potrà convergere sul diniego anche settori garantisti dell'opposizione. Per l'inchiesta sarebbe una pietra tombale (a meno di improbabili interventi della Corte Costituzionale).
Tutto finito, allora? In realtà no. Perché il testo della richiesta di autorizzazione spiccata dal tribunale dei ministri lascia aperta la porta all'incriminazione della Bartolozzi, che durante le indagini ha ammesso e anzi rivendicato il suo ruolo nella gestione della pratica. Ieri a difesa della sua funzionaria è intervenuto Nordio, che dice di avere appreso «con raccapriccio» dell'ipotesi di una indagine contro di lei, «tutte le sue azioni sono state esecutive dei miei ordini di cui mi assumo tutta la responsabilità giuridica». «La sola ipotesi - scrive Nordio - che un'eventuale incriminazione della mia collaboratrice sia un escamotage per attribuire alla giurisdizione penale un compito che ora è squisitamente parlamentare mi fa inorridire, perché costituirebbe una strumentalizzazione politica della Giustizia».
Ma se l'accusa partisse ugualmente, la Bartolozzi sarebbe anch'essa coperta dall'immunità? Ieri Renzi parte lancia in resta contro questa ipotesi, «chi volesse piegare la norma per salvare una collaboratrice, commetterebbe un atto contro la Costituzione, contro le Istituzioni, contro la Giustizia». In realtà, la norma e i precedenti dicono una cosa diversa. Se il tribunale dei ministri e la Procura avessero ritenuto la Bartolozzi complice dei reati attribuiti ai ministri avrebbero dovuto avanzare anche per lei una richiesta di autorizzazione a procedere: come hanno fatto d'altronde per Alfredo Mantovano, che essendo solo sottosegretario non è coperto dall'immunità: se il reato è considerato ministeriale, lo è anche per i coimputati. Ma la richiesta contro la Bartolozzi non è stata avanzata, ed è inverosimile che venga presentata in un momento successivo, essendo l'indagine sostanzialmente conclusa. Per aggirare l'ostacolo, ai magistrati basterebbe - ed è la linea che sembra prendere forma - indagare la funzionaria non per gli stessi reati contestati a Nordio ma per un reato diverso, la falsa testimonianza. Per questo non ci sarebbe scudo possibile. L'assist alla Procura è stato fornito dal tribunale con il passaggio in cui scrive che «la versione fornita dalla dottoressa Bartolozzi è da ritenere sotto diversi profili inattendibile e, anzi mendace».
L'iscrizione della funzionaria nel registro degli indagati per falsa testimonianza è a questo punto per il procuratore di Roma Francesco Lo Voi un atto dovuto. E se la Bartolozzi venisse rinviata a giudizio, sotto accusa formalmente ci sarebbe solo lei, ma sostanzialmente ci sarebbe l'intero governo.