
«Non darò mai a nessuno un farmaco mortale, nemmeno se richiesto». Alle parole del Giuramento d'Ippocrate fanno eco quelle della Convenzione di Ginevra che promettono di non recare «mai alcun nocumento a un essere umano». La cura, anzi il prendersi cura e quindo la ragione con le sue scoperte scientifiche che diventano technè e l'umanità da non perdere mai di vista, sono la trama dei «Canti d'Ippocrate», lo spettacolo prodotto dal Piccolo Teatro per la drammaturgia di Riccardo Frati con il Centro diagnostico italiano per celebrare i primi 50 anni dall'intuizione di Fulvio Bracco che immaginò di puntare sulla prevenzione e la centralità del paziente. Oggi a continuare l'impresa è la figlia Diana con Fulvio Renoldi Bracco (insieme nella foto) che celebrano questo tratto di strada con uno spettacolo il cui ricavato sarà devoluto all'Opera san Francesco per i poveri. Oggi la replica (biglietti da 15 euro) per un viaggio che con i classici della filosofia e della letteratura analizza il rapporto tra corpo e anima, uomo e natura, salute e malattia.
Da Democrito all'Ulisse di Dante, le sponde algerine di Orano con «La peste» di Albert Camus, Lucrezio e le costellazioni nel cielo illuminato dalle lenti dei «Dialoghi» di Galileo. Perché «non saranno la luce e il chiarore del sole a farci uscire dalle tenebre, ma la conoscenza delle cose». E «La cura» di Franco Battiato reinterpretata da Peppe Servillo è il miglior sigillo.