
Il carcere di Pavia finisce al centro delle polemiche a seguito di un provvedimento (inedito nella storia) firmato dalla direttrice Stefania Musso: la distribuzione di 720 preservativi ai detenuti come misura a carattere "terapeutico". Il Dap ha infatti deciso di bocciare questa scelta in quanto "risulterebbe essere stata adottata senza alcuna preventiva interlocuzione con gli uffici", spiega il Dipartimento amministrazione penitenziaria sottolineando i rischi "che attengono direttamente all'ordine e alla sicurezza delle carceri".
Il provvedimento, per come formulato, non appare "idoneo a strutturare in modo adeguato la gestione complessiva dell'iniziativa sotto il versante sanitario, della prevenzione e della sicurezza", aggiunge il Dap. Per il Dipartimento resterebbero infatti inevase valutazioni essenziali: "Dalle modalità di controllo, alla prevenzione di condotte violente tra i detenuti, fino ai possibili usi distorti dei profilattici, che potrebbero essere impiegati per occultare sostanze stupefacenti, anche tramite ingestione, eludendo così i normali controlli".
Il Dap vuole altresì evidenziare che l'assenza di una interlocuzione preliminare "non ha consentito alla direzione di contemperare le esigenze di prevenzione sanitaria con quelle, imprescindibili, di ordine e sicurezza, secondo le migliori prassi già in essere". Nell'ordine di servizio che dispone la distribuzione dei condom si precisa infine che la gestione è in capo al dirigente sanitario che avrebbe dovuto definire le modalità operative e occuparsi della distribuzione ai detenuti, con l'obbligo di registrare ogni consegna.
La gestione della distribuzione dei profilattici era stata affidata al personale sanitario interno, guidato dal dirigente Davide Broglia, con l'obbligo per i medici di annotare ogni consegna. L'ordine di servizio firmato dalla direzione del carcere era stato indirizzato all'area sanitaria, al comandante della Polizia penitenziaria e all'ufficio ragioneria. Il documento della dottoressa Musso specificava che i 720 profilattici acquistati era stati consegnati al dirigente sanitario, che avrebbe dovuto definire le modalità operative con le dottoresse Paola Tana e Gabriella Davide.
L'espressione utilizzata nella circolare - "motivi terapeutici" - non è stata accompagnata da ulteriori spiegazioni ufficiali. Nel contesto della sanità penitenziaria, tuttavia, l'uso dei preservativi può essere legato alla prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili come HIV, epatiti o sifilide, più diffuse nella popolazione detenuta rispetto alla media.
In ambito medico, il profilattico può dunque essere considerato un presidio sanitario, al pari di altri strumenti preventivi, soprattutto quando prescritto dal personale sanitario per tutelare la salute individuale e collettiva. La formulazione resta comunque generica e lascia spazio a interpretazioni, alimentando il dibattito pubblico.