Leggi il settimanale

Caso Orlandi, non è il tempo di ulteriori ingiustizie

La giustizia ha il dovere di indagare, sempre. Ha il dovere di riaprire i fascicoli quando emergono nuovi elementi. Ma la giustizia ha anche il dovere di distinguere, di ponderare, di non schiacciare le persone sotto il peso di una vicenda più grande di loro

Emanuela Orlandi e Laura Casagrande
Emanuela Orlandi e Laura Casagrande
00:00 00:00

Gentile Direttore Feltri,
considerato lo stato nel quale si trova la giustizia in Italia, non oso pensare a cosa potrà accadere d'ora in avanti a Laura Casagrande, amica della povera Emanuela Orlandi al tempo della scomparsa di quest'ultima, in quanto da ieri risulta indagata per aver fornito all'epoca false informazioni agli inquirenti.
Trattandosi di una tragedia dai contorni alquanto oscuri da far tremare i polsi a chiunque quali l'attentato a Papa Wojtyla in cui furono coinvolti soggetti come un Ali Agca e membri della Banda della Magliana, accaduti ben 42 anni fa quando le due ragazze erano entrambe poco più che quindicenni, fermo restando il primato della Giustizia, mi riesce difficile accettare che una persona, ora vicina ai sessanta anni, gran parte dei quali - presumo - trascorsi nel tentativo di rimuovere quell'evento che probabilmente la privò della spensieratezza diritto di ogni adolescente e che avrebbe stravolto la vita anche di un qualsiasi adulto fatto e finito, ben 42 anni dopo debba reimmergersi in quei drammatici giorni, per di più con un futuro avvolto nella più assoluta incertezza.
Come saranno i miei prossimi 18 anni, si chiederà la malcapitata Laura Casagrande.

Alberto Paoli Valdes

Caro Alberto,
poni una questione che merita di essere affrontata senza urla, senza caccia alle streghe e senza quella smania moralistica che oggi accompagna ogni vicenda giudiziaria di forte impatto mediatico. Il caso di Emanuela Orlandi non è un giallo da salotto, non è una serie televisiva, non è una clava da agitare contro chiunque abbia avuto la sventura di trovarsi nei paraggi quarant'anni fa. È una ferita aperta nella storia italiana, una di quelle che non si rimarginano mai del tutto, perché non c'è stata verità, non c'è stata giustizia, non c'è stata nemmeno una conclusione.

Detto questo, occorre ristabilire alcuni punti fermi, perché il rischio, ancora una volta, è quello di confondere le carte e di trasformare un atto dovuto della magistratura in una condanna morale anticipata. Laura Casagrande non è indagata per la scomparsa di Emanuela Orlandi, non è sospettata di averle fatto del male, non è indicata come responsabile di alcun crimine contro la sua amica. L'ipotesi di reato riguarda esclusivamente presunte false informazioni fornite agli inquirenti all'epoca dei fatti. È una differenza enorme, che però nel frastuono mediatico rischia di essere cancellata. Stiamo parlando di una ragazza che, nel 1983, aveva quindici anni. Una quindicenne catapultata in uno dei casi più inquietanti della storia repubblicana, in un clima di paura collettiva, di voci incontrollate, di servizi segreti evocati, di piste internazionali, di terrorismo, di criminalità organizzata, di Vaticano e geopolitica. Un contesto che avrebbe destabilizzato chiunque, figuriamoci un'adolescente. È davvero così difficile immaginare che una ragazza spaventata possa aver ricordato male, taciuto qualcosa per paura, confuso orari, luoghi, circostanze? È davvero così scandaloso ipotizzare che il trauma, il terrore, il desiderio di rimuovere possano aver prodotto incongruenze, senza che questo significhi complicità o colpa?

La giustizia ha il dovere di indagare, sempre. Ha il dovere di riaprire i fascicoli quando emergono nuovi elementi, soprattutto davanti a una famiglia che da oltre quarant'anni vive sospesa in un'attesa disumana. Su questo non c'è discussione. Ma la giustizia ha anche il dovere di distinguere, di ponderare, di non schiacciare le persone sotto il peso di una vicenda più grande di loro. Altrimenti non è giustizia, è accanimento. Il caso Orlandi riguarda tutti noi. Riguarda lo Stato, le sue omissioni, i suoi silenzi, le sue ambiguità. Riguarda le istituzioni che per decenni hanno parlato a mezza voce o non hanno parlato affatto. Ma non si risolve scaricando su una donna di quasi sessant'anni il peso di un mistero che affonda le sue radici ben più in alto e ben più lontano. Se vogliamo davvero la verità, dobbiamo pretenderla senza perdere l'umanità. Dobbiamo cercarla senza trasformare testimoni fragili in capri espiatori.

Dobbiamo ricordarci che il tempo trascorso non cancella il dolore, ma può deformare i ricordi, soprattutto quando quei ricordi sono nati sotto il segno della paura. Altrimenti rischiamo di aggiungere un'ingiustizia nuova a una storia che di ingiustizie ne ha già prodotte fin troppe.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica