Orrore a Benevento: strage familiare con un sasso. Quando la depressione diventa un’arma mortale

Un’orribile strage familiare, consumata tra le mura domestiche in un piccolo paese dell’entroterra sannita

Orrore a Benevento: strage familiare con un sasso. Quando la depressione diventa un’arma mortale

Un’orribile strage familiare, consumata tra le mura domestiche in un piccolo paese dell’entroterra sannita. Paupisi, alle porte di Benevento, conta poche migliaia di anime. Lì, tra villette e vigneti, Salvatore Ocone, operaio 58enne, ha confessato di aver ucciso con un grosso sasso la moglie Elisa Polcino e il figlio Cosimo Ocone, appena 15 anni. Pensava di aver ammazzato anche la figlia 16enne, che è sopravvissuta alla mattanza. Dopo l’efferato delitto, ha trascinato i corpi dei ragazzini in auto ed è fuggito, quando non era ancora l’alba del 30 settembre scorso, prima di essere scovato dai carabinieri elicotteristi in una zona di campagna in provincia di Campobasso, a Ferrazzano. Lì è stata soccorsa almeno la 16enne, che resta ricoverata in ospedale. Il programma "Incidente Probatorio", in onda sul canale 122 Fatti di Nera, si è occupato del caso di duplice omicidio consumato in famiglia.

Ocone ha confessato di aver ucciso la moglie perché la riteneva troppo «aggressiva» e «autoritaria». Il dramma si è consumato poco prima dell’alba, tra le 5 e le 6 del mattino di martedì. Con un grosso sasso preso probabilmente in giardino, Ocone avrebbe prima colpito a morte la moglie, poi ferito gravemente la figlia 16enne. Con quello stesso oggetto, poi, si sarebbe accanito sul figlio Cosimo. Infine, dai segni di trascinamento riscontrati sul pavimento all’interno della villetta di Paupisi, Salvatore Ocone ha caricato i due figli in auto per darsi alla fuga. L’allarme è scattato solo tre ore dopo, alle 9 del mattino, quando sono partite le ricerche da parte dei carabinieri. La sua auto è stata individuata solo nel pomeriggio nelle campagne di Ferrazzano, dove il 58enne è stato bloccato. In auto, sul sedile posteriore, giaceva il corpo senza vita di Cosimo, mentre la 16enne respirava ancora. Così è partita la macchina dei soccorsi. La Procura di Benevento lo ha iscritto nel registro degli indagati per il reato di duplice omicidio aggravato dal contesto familiare, tentato omicidio e sequestro di persona. Alla base di questa vicenda, ci sarebbero gravi disturbi psichiatrici ed una depressione che andava avanti da anni.

«Non sappiamo dopo la depressione come possa essere degenerata» – ha detto Gianluca Campagna, giornalista e scrittore – «e la depressione resta una malattia del nostro tempo e dell’essere umano. Se una persona che abbia logica, sensibilità e razionalità si auto-aiuta e non fa gesti autolesionistici e reagisce, la situazione non degenera. Purtroppo in alcuni casi capita la furia distruttiva. Da quel che sappiamo, questa persona era depressa, non stava bene, probabilmente era stato soggetto a un TSO per sedare un episodio della sua malattia psicologica. È chiaro che sia necessario oggi creare una sorta di sistema che individui le persone più fragili e soggette a certe reazioni».

«In generale» – ha spiegato la psicologa Ilaria La Mura – «ci sono dei segnali che non sempre si vedono dall’esterno. Certe cose non avvengono così per caso, ci sono sempre dei segnali d’allarme, ma non tutti riusciamo a carpire queste informazioni sui comportamenti anomali ed è ancora più difficile per la famiglia cogliere la gravità della situazione. Loro probabilmente erano abituati da anni a vedere il padre affetto da depressione: lui era in cura, in più era stato soggetto a un TSO in passato. La famiglia era quasi abituata ad alcuni comportamenti anomali, era diventato normale questo suo stato, quindi è possibile che non siano stati colti i segnali. Nel caso di Salvatore Ocone, bisogna capire qual era la sua diagnosi, se fosse un tipo di depressione profonda con psicosi, e non sappiamo se si trattasse già di schizofrenia con episodi di deliri. In questi casi, la capacità di controllo delle azioni viene meno, la persona non distingue più la realtà dalla fantasia. Va valutato il quadro generale, la famiglia in questi casi non può agire più di tanto».

Secondo Annamaria Leone, avvocato e criminologa, questo caso inquietante dimostra ancora una volta che «i killer non sono l’estraneo o lo sconosciuto. I numeri parlano chiarissimo: di solito gli assassini sono persone che vivono con noi, hanno lo stesso cognome. Questo è un dato allarmante, la cifra della violenza in Italia, che nasce tra le mura domestiche. Siamo disposti a pensare che dobbiamo guardare all’interno delle nostre famiglie e delle nostre comunità dove si trova un problema importante? Il TSO, trattamento sanitario obbligatorio, serve per contenere alcuni comportamenti divenuti incontrollabili. Non si può lasciare in giro una persona così, che può trasformare la sua sofferenza in un’arma, può diventare una bomba a orologeria che può scoppiare verso le persone a lui più vicine. L’esigenza di portare via quei figli che pensava già morti, inoltre, serviva a punire definitivamente la moglie. Doveva festeggiare i 25 anni di matrimonio, ma dietro quei festeggiamenti e i tentativi di camuffare c’era una realtà diversa.

Non è un caso isolato, è lo specchio di un sistema che non riesce a intercettare i malati psichiatrici che hanno bisogno. La malattia riguarda un po’ tutto il nucleo familiare, che solitamente tende a chiudersi. Tutti conoscevano che lui fosse affetto da depressione, ma nessuno aveva dato il giusto peso alla malattia, neanche le istituzioni. Un soggetto sottoposto a TSO non può essere dimenticato, è una procedura importante che si riserva a soggetti con dei momenti particolarmente gravi di autogestione. Non sappiamo se fosse depressione e basta, se ci fosse già una malattia psichiatrica per commettere una mattanza di questo genere. Forse la stessa crudeltà e rabbia l’avrebbe usata anche sul terzo figlio, se fosse stato in casa.

L’arma utilizzata non si trovava in casa, quindi c’è una chiara premeditazione: una pietra recuperata dal giardino, un’arma ancestrale che prevede un contatto diretto con la vittima, usata per scagliarsi sulle vittime, dice molto del gesto mosso dalla rabbia. Inoltre, il concetto di crudeltà deve essere rivisto dalla giurisprudenza, è ancora una concezione vecchia».

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica