Scena del crimine

Gli sconosciuti, la prigionia, il riscatto: "L'Italia in piazza per quel bimbo"

All'età di 10 anni, Augusto De Megni fu rapito dall'Anonima sarda. La prigionia durò 112 giorni: "Una vicenda che segnò la storia del nostro Paese"

Augusto De Megni nella foto per la richiesta di riscatto
Augusto De Megni nella foto per la richiesta di riscatto
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Per mesi venne tenuto prigioniero da tre uomini incappucciati. Costretto a vivere in un tugurio di pochi metri quadrati, umido e buio, senza potersi nemmeno alzare. Una situazione insostenibile, che trasformò quei 112 giorni di prigionia in lunghi e terribili momenti, che cancellarono di colpo gli anni sereni precedenti. Era il 1990. L’Anonima sequestri era una minaccia in tutta Italia. E la sera di quel 3 ottobre, la vittima prescelta fu un bambino di soli dieci anni: Augusto De Megni.

“Una vicenda dal grande impatto mediatico ed emotivo”, ha precisato a ilGiornale.it Alvaro Fiorucci, giornalista che seguì la vicenda all'epoca del sequestro e scrisse sul caso il libro Un bambino da fare a pezzi. Rapimento e liberazione di Augusto De Megni.

Il rapimento

“Rapito sotto gli occhi del padre”. Così un articolo di Repubblica diede la notizia del sequestro di Augusto De Megni. Era il 3 ottobre del 1990. Quella sera il bambino si trovava in compagnia del padre Dino a casa del nonno, che possedeva una villa alle porte di Perugia, in via Assisana. Insieme stavano guardando una partita di Coppa Italia, ma al momento dell’intervallo, padre e figlio ne approfittarono per tornare nella propria abitazione, a pochi metri da quella del nonno. Una volta arrivati davanti alla porta, il piccolo Augusto e il padre Dino iniziarono a scaricare alcuni pacchi.

Fu in quel momento che i banditi entrarono in azione. “Ci hanno fatto mettere il viso rivolto a terra - raccontò Dino De Megni alle telecamere di Chi l’ha visto? - ci hanno immobilizzato e legato”. L'uomo sperò fosse una rapina, ma una semplice domanda confermò il suo timore. “Mi hanno domandato se si trattasse di mio figlio” e il sospetto di un rapimento divenne una certezza: “Lo portiamo via”.

Augusto De Megni venne trascinato lontano dalla propria casa e caricato su un’automobile, che sparì nel buio di una sera di ottobre. Dino De Megni impiegò circa mezz’ora per “stroncare a viva forza la corda che mi legava mani e piedi”, come raccontò all’Unità. Poi, una volta toltosi anche il bavaglio, diede l’allarme.

La famiglia De Megni

Nonostante il tempestivo intervento delle forze dell’ordine, i rapitori scomparvero nel nulla insieme al bambino. La villa infatti si trovava alla periferia di Perugia, a poche centinaia di metri dal raccordo autostradale Perugia-Betolle, che i malviventi potevano aver imboccato, con ogni probabilità per allontanarsi dall’abitazione il più velocemente possibile.

Nei giorni successivi, la famiglia De Megni non poté fare altro se non aspettare e sperare che i criminali si facessero vivi per chiedere un riscatto. Il padre Dino era in attesa nella villa di via Assisana, mentre la madre, Paola Rossetti, si era rifugiata nel suo appartamento in centro a Perugia, insieme alla figlia Vittoria. Ma perché quel gruppo di malviventi decise di rapire proprio Augusto De Megni?

Sulla risposta, gli inquirenti non ebbero molti dubbi. La famiglia De Megni era infatti molto in vista a Perugia. Il nonno del bambino, Augusto De Megni (da cui il nipote aveva preso il nome) era un avvocato e un personaggio di spicco della vita politica ed economica della città.

Titolare di un'avviata azienda di commercializzazione e trasformazione del legname ed è stato il fondatore della finanziaria che ora è amministrata dal figlio - raccontò dell'uomo Repubblica - Negli anni Sessanta era proprietario del Banco De Megni, una banca di famiglia che poi negli anni viene trasformata nel Banco di Perugia”.

Non Solo. Augusto De Megni senior era anche uno dei maggiori esponenti della Massoneria: per anni ne venne considerato il tesoriere e all’epoca del rapimento era il “Sovrano gran commendatore del rito scozzese, ossia il capo di uno dei riti della massoneria di Palazzo Giustiniani”.

Una famiglia influente e molto conosciuta a Perugia, presa di mira da una banda di criminali. Ma chi si celava dietro ai volti incappucciati che avevano portato via il piccolo Augusto? Il padre rivelò che uno dei banditi, l’unico che aveva parlato, poteva avere un accento sardo. Anche per questo gli inquirenti si concentrarono sull’Anonima sequestri, l’organizzazione criminale sarda dedita ai sequestri di persona.

La richiesta di riscatto

Il luogo angusto che fu la "prigione" di Augusto De Megni
Il luogo angusto che fu la "prigione" di Augusto De Megni

Dopo il rapimento i familiari rimasero in attesa di una richiesta di riscatto, ma per giorni i telefoni rimasero silenziosi. Nessuno dei sequestratori si fece vivo con i genitori del piccolo. Poi, una chiamata stabilì il primo contatto: “La vera richiesta di riscatto - ricorda il giornalista Alvaro Fiorucci - giunse dopo una lunga attesa. La famiglia aveva chiesto pubblicamente un segnale per avere notizie certe. I rapitori dissero ai De Megni che avrebbero dovuto pagare 20 miliardi di lire: una richiesta da record, “la più alta mai formulata prima di quel momento per un rapimento”.

Per comunicare con la famiglia, i sequestratori escogitarono un modo per cercare di arginare i controlli delle forze dell’ordine: “Le richieste - spiega Fiorucci - venivano fatte ai sacerdoti di Perugia che poi riferivano i messaggi dei banditi alla famiglia De Megni. Dino, a volte, doveva rispondere ai sequestratori mediante alcune dichiarazioni 'criptate' rilasciate al Tg1 delle 20".

E la procura, per la prima volta in occasione di un rapimento, operò il sequestro dei beni della famiglia De Megni: “Al tempo, non c'era ancora la legge sul 'blocco dei beni' dei congiunti o affini del sequestrato - precisa Fiorucci - Per la prima volta furono congelati i beni appartenenti alla famiglia del rapito”. Le indagini intanto procedevano, grazie all’intervento dei “migliori poliziotti dell’epoca", ma la svolta arrivò “con le dichiarazioni di un pastore di Viterbo, che indicò agli investigatori la zona della prigione, tra Volterra e San Gimignano”.

“Liberato Augusto”

La liberazione di Augusto De Megni
La liberazione di Augusto De Megni

Il 22 gennaio 1991, dopo 112 giorni di prigionia, Augusto De Megni venne liberato dalla polizia e dagli uomini del Nocs, il Nucleo operativo centrale di sicurezza della polizia di Stato. Le “teste di cuoio” riuscirono a scovare il nascondiglio dove veniva tenuto il bambino. “Lavorammo sulle intercettazioni, effettuammo diversi sopralluoghi – raccontò Pier Luigi Orlando, uno dei poliziotti del Pool investigativo che lavorava al caso - Alla fine la nostra attenzione si concentrò su una zona nei pressi di Volterra, dove vivevano dei pastori sardi”.

Arrivate sul posto, le forze dell’ordine perquisirono la zona: “Non trovammo nulla”, ricordò Orlando. Le speranze di trovare il nascondiglio dove veniva tenuto il piccolo Augusto sembrarono svanire. Ma, proprio mentre le squadre stavano ripiegando per tornare alla base, incontrarono un giovane sardo, che non fu in grado di spiegare il motivo della sua presenza in quel luogo.

“Costui fornì spiegazioni poco credibili sul motivo per cui si trovasse nella selva (disse che stava andando a gettare l'immondizia) - ha spiegato il giornalista Fiorucci - A quel punto gli agenti si insospettirono e decisero di portarlo al commissariato per sentirlo in un interrogatorio lungo e approfondito. Venne caricato a bordo di un elicottero e, durante una perlustrazione, indicò l'area dove si trovava il nascondiglio con Augusto prigioniero”. Si trattava di una grotta, scavata nel terreno: impossibile vederne l’ingresso, costituito da un buco nel terreno, senza un’indicazione precisa.

Appena i Nocs entrarono nel luogo in cui veniva tenuto prigioniero Augusto, uno dei rapitori puntò un’arma contro la tempia del bambino. Inoltre, spiega Fiorucci, “quando i poliziotti raggiunsero la grotta, Augusto non volle uscire. Era spaventato e non si rendeva conto di quello che stava succedendo e quindi gli agenti che parteciparono al blitz finale dovettero attendere l'arrivo del papà per convincerlo a uscire”. Così, dopo mesi di prigionia, il bambino poté tornare finalmente a casa: l’incubo era finito.

Una volta liberato, ricorda il giornalista, “il bimbo raccontò di esser stato trattato bene durante quei 110 giorni di prigionia. In particolare, parlò del carceriere 'buono' che gli portava i fumetti da leggere, lo proteggeva e impedì che gli venisse tagliato un orecchio".

“Per il rapimento di Augusto De Megni furono condannati tutti i membri dell'organizzazione sarda che parteciparono al sequestro, sia i basisti che gli esecutori materiali”, ha concluso Fiorucci. La vicenda che coinvolse il piccolo Augusto “ebbe un grande impatto emotivo, tanto che centinaia di persone, durante i giorni del sequestro, organizzarono cortei e manifestazioni chiedendo che il bimbo fosse liberato”.

Il sequestro De Megni “fu una vicenda drammaticamente unica, che per certi aspetti, da quelli affettivi a quelli tecnici, ha segnato la storia del nostro Paese”.

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