I volti di Psyco

"Volevo che tutti accorressero": l'angelo della morte e quelle morti sospette

Condannata per 5 omicidi commessi nel 2004, l'"infermiera killer", come fu ribattezzata, Sonya Caleffi potrebbe aver ucciso in realtà 18 persone

Sonya Caleffi, la storia dell'angelo della morte di Lecco
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Ha ucciso almeno cinque persone (ma il conto in realtà potrebbe salire a diciotto) e tecnicamente dobbiamo parlare di serial killer. Ma Sonya Caleffi non ha niente a che fare con assassini brutali come Ed Gein o Jeffrey Dahmer. Nessuna fame di sangue, nessuna ossessione sessuale da soddisfare, nemmeno una tentazione sadica. Le motivazioni profonde del perché ha ucciso vanno ricercate nei conflitti della sua esistenza. Il suo è uno dei purtroppo numerosi casi di angeli della morte, ovvero di assassini seriali che agiscono nell’ambiente medico o ospedaliero.

L'infanzia

Sonya Caleffi nasce a Como il 21 luglio del 1970, figlia di un impiegato delle pompe funebri e di una casalinga. Una bimba molto tenera, dolce, con un sogno nel cassetto fin da piccolissima: fare l’infermiera per dedicarsi alle altre persone. Un obiettivo da sempre nel suo cuore e coltivato nel tempo, dunque. Sulla sua infanzia le notizie a disposizione sono scarne, ma non vengono segnalati particolari traumi oppure eventi in grado di sconvolgerle la vita. Tutto normale, tutto in ordine.

Le difficoltà dell'adolescenza

L’infanzia serena, ma l’adolescenza no. A dodici anni accusa i primi problemi di ansia per i mutamenti corporei - è già quasi una donna - mentre tra i tredici ed i quattordici anni manifesta i primi sintomi riconducibili alla depressione. Diventa sempre più volubile, cambia spesso taglio e colore dei capelli. Un anno più tardi inizia a soffrire di anoressia. Una situazione molto delicata, che spinge la giovane a sottoporsi a una cura psichiatrica duratura che non abbandonerà mai più.

La carriera da infermiera

Tra alti e bassi, Sonya Caleffi conduce una vita tutto sommato normale dal punto di vista relazionale e nel 1993 trova l’amore: si sposa con un falegname di Cernobbio. L’amore però non ha vita lunga: un anno più tardi arrivano separazione e divorzio. La donna instaura una serie di relazioni occasionali, rapporti di breve durata, fino a quando incontra un radiologo. Va a convivere con lui a Tavernerio, nel comasco.

Terminati gli studi, Sonya intraprende il sogno di diventare infermiera professionale. Dal 1990 al 1993 frequenta i corsi, ottiene il diploma e inizia a lavorare. Un desiderio che si trasforma in realtà, ma gli inizi non sono semplici: non lega con i colleghi, è introversa e taciturna. E soprattutto è molto insicura, vive con il terrore di sbagliare qualcosa e al minimo problema entra in crisi, tra pianti e reazioni scomposte.

Dal 1994 al 2000 Sonya Caleffi lavora nel reparto di endoscopia dell'ospedale Valduce di Como ma continua ad affrontare grossi problemi dal punto di vista personale. È sempre in cura dallo psichiatra e prende farmaci molto pesanti, che la costringono a inanellare molte assenze. Nel 2000 viene licenziata e decide di prestare servizio tra ospedali (in particolare al Sant'Anna) e case di cura del comasco, senza però trovare stabilità. Nel 2002 prova a farla finita con un incidente stradale, ma riporta ferite non gravi e nulla più. Tra il 2002 e il 2004 tenta l'estremo gesto altre tre volte.

Sonya Caleffi, l'angelo della morte di Lecco

Nel 2004 Sonya Caleffi vince un concorso e viene assunta all’ospedale Manzoni di Lecco, dopo aver superato senza problemi i test psico-attitudinali. Si contraddistingue per cordialità e professionalità, anche se non mancano episodi particolari, come scatti d’ira, in particolare quando non riesce a restare da sola nelle stanze dei pazienti.

Il motivo è semplice, Sonya Caleffi si trasforma nell’angelo della morte di Lecco: inizia a uccidere i pazienti nel nosocomio attraverso iniezioni d’aria, insufflate in vena attraverso la flebo del braccio: 40-50 centimetri cubici di aria, anche con somministrazioni ripetute. In questo modo il paziente va in embolia gassosa, il volto diventa cianotico e le labbra blu. Fino alla dissociazione meccanica del cuore.

Una volta entrata in azione e causata l’emergenza, Sonya Caleffi si mette a disposizione dei medici. Ma l’8 novembre del 2004 commette un errore: viene infatti pizzicata dai parenti di Maria Cristina, 99enne ricoverata per una bronchite con difficoltà respiratorie. La donna muore, ma l’ospedale vuole fare chiarezza e ordina l’esame autoptico. L’ennesimo decesso imprevisto all’ospedale Manzoni. I familiari si scagliano contro la Caleffi: trovano il suo comportamento freddo e assurdo, sono certi che abbia commesso qualche errore.

L'arresto

Tra il 1° settembre e l’8 novembre del 2004 – quando Sonya Caleffi è in servizio – l’ospedale Manzoni conta diciotto decessi di pazienti anziani. Un aumento anomalo che insospettisce i sanitari. La donna viene arrestata il 15 dicembre e confessa di aver ucciso cinque persone: Maria Cristina, Biagio La Rosa, Teresa Lietti, Ferdinando Negri ed Elisa Colomba Riva. La donna è quasi sollevata al pensiero di essere stata beccata.

Sonya Caleffi afferma di aver avvertito il bisogno di sentirsi importante e di non aver praticato l’eutanasia. Chiede perdono e fa mea culpa:“Io praticavo quegli interventi perché mi piaceva che tutti accorressero in tempo a salvare i pazienti”, la sua versione. La trentaquattrenne descrive con estrema precisione la modalità degli omicidi e racconta tutto, senza risparmiarsi. Ma c’è di più: dopo la notizia delle morti di Lecco, l’amministrazione dell’ospedale Sant’Anna di Como inizia a indagare sugli otto decessi avvenuti durante il periodo di servizio di Sonya Caleffi. Stesso discorso per le altre strutture. L'inchiesta verrà archiviata il 28 novembre 2005.

La condanna e il ritorno in libertà

Sonya Caleffi il 18 dicembre 2004 viene trasferita al Sant’Anna di Como, nel reparto detenuti, mentre l’11 febbraio 2015 viene trasferita all’Opg di Castiglione delle Stiviere. A marzo la donna ritratta la confessione e sostiene di non ricordare più di avere ucciso. Il 14 dicembre 2007, Sonya Caleffi viene condannata per cinque omicidi (Maria Cristina, Biagio La Rosa, Teresa Lietti, Ferdinando Negri, Elisa Colomba Riva) e due tentati omicidi (Giuseppe Sacchi, Francesco Ticli) a una pena di venti anni di reclusione. Il 3 marzo 2008 la Corte d’assise d’appello di Milano conferma la condanna.

Scontati quattordici anni tra San Vittore e Bollate, il 25 ottobre 2018 Sonya Caleffi viene rilasciata. Afferma di essere pentita: “Sono cambiata, sono un’altra persona. Quello che desidero adesso è solo un po’ di normalità”.

Al suo fianco, come sempre, i due genitori.

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