Studente aggredito: sei mesi di ospedale

La famiglia lo protegge dallo choc. I genitori dei giovani in cella: "Noi, devastati"

Studente aggredito: sei mesi di ospedale
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Da quella terribile notte del 12 ottobre nella zona di corso Como - e dopo quasi due settimane di coma farmacologico in rianimazione - al suo risveglio non è più riuscito ad alzarsi e a stare in piedi in maniera autonoma. Rimane ricoverato in ospedale, a Niguarda e fa riabilitazione a letto, ma non ha più riacquistato alcuna sensibilità alla gamba sinistra e, in generale, a livello di deambulazione, non è ancora riuscito a recuperare assolutamente nulla. Intorno a questo brillante studente bocconiano di 22 anni - massacrato a calci, pugni e coltellate per 50 euro dai 5 giovani arrestati martedì mattina dalla polizia che li accusa di tentato omicidio plueriaggravato e rapina pluriaggravata in concorso - si è stretta la sua famiglia che lo protegge dallo choc scaturito dalla consapevolezza che questa paralisi fisica potrebbe condizionargli per sempre l'esistenza e dalla necessità assoluta di almeno altri sei mesi di ricovero e cure all'interno dell'Unità spinale e lesioni midollari dell'ospedale. Al momento della diagnosi i medici avevano parlato di tempi per cui non era «possibile definire il livello di disabilità motoria che andrà a convalidarsi» aggiungendo che «con altissima probabilità non sarà possibile il recupero motorio».

Intanto, come stabilito dalla gip Chiara Valori, saranno sottoposti all'interrogatorio di garanzia domattina a San Vittore i due 18enni (gli altri tre ragazzi, tutti 17enni, sono reclusi al Beccaria, dove all'ingresso sono stati accolti dagli altri detenuti in modo trionfale) arrestati dalla squadra investigativa del commissariato Garibaldi-Venezia coordinati dal pm Andrea Zanoncelli. Si tratta di A.C. il ragazzo di Monza che ha sferrato alla vittima, che era già a terra, le due coltellate da dietro bucandogli un polmone e provocandogli uno «shock emorragico da emotorace massivo in ferita penetrante» con lesioni midollari, e A.A., che ha fatto da «palo» all'aggressione. La prima scelta difensiva sarà quella di decidere se rispondere alle domande sulla brutale aggressione e i tentavi successivi, intercettati nella sala d'aspetto del commissariato Garibaldi-Venezia di concordare «versioni di comodo» sull'accaduto, oppure avvalersi della facoltà di non rispondere. Rischiano pene fra i 10 e i 20 anni di reclusione: se dovesse reggere fino al processo il capo d'imputazione configurato dal sostituto milanese i due, che hanno superato la maggiore età a maggio e settembre di quest'anno, potrebbero essere condannati a una pena fra 10 e i 14 anni di reclusione in caso di rito abbreviato (che prevede lo sconto di un terzo della pena) e fra i 14 e i 21 anni se sceglieranno di affrontare un dibattimento: è il calcolo che emerge dalla pena base di omicidio volontario (21 anni) ridotta di un terzo perché si tratta di delitto solo tentato (e non del più lieve reato di lesioni dolose aggravate) a cui la gip ha riconosciuto la potenzialità mortale.

Mentre la madre di uno degli aggressori ha confessato ieri al Tg3 Regionale: «Siamo distrutti dal comportamento dei nostri figli», il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi si rifà al decreto Caivano, con il quale, spiega «facemmo serie normative che hanno abbassato non la soglia della punibilità ma della capacità dello Stato di intervenire con misure di prevenzione per intercettare prima questi fenomeni e proporre ai giovani l'aspetto pedagogico della sanzione o della prevenzione del reato».

«Il tipo di sforzo del modello Caivano verrà applicato su altre 8 città o contesti in Italia - ha concluso il ministro -. I fondi sviluppo e coesione del Viminale li stiamo dedicando a iniziative, in accordo con le Regioni, che possano ripercorrere quel modello».

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