Non è uniforme il nostro rapporto con i morti. Non dipende dal legame che avevamo con loro in vita. Una perdita, una scomparsa procura dolore anche fra vivi. Viene meno una presenza su cui potevamo contare, cui eravamo abituati. Nulla è più triste che perdere chi si ama, la cui esistenza fortifica la tua. Così è accaduto a mia sorella alla morte di mia madre. Una vera e propria trasformazione, e un potenziamento di energia come se mia madre avesse trasferito la sua vitalità, e una parte del suo temperamento affettivo e protettivo, a lei. Da quando è morta, mia sorella mi ama di più. Mi ama anche per conto di mia madre, di sua madre. La mia reazione è stata diversa. Avrei dovuto soffrire di più per quanto ci legava caratterialmente, per quanto mia madre si occupava di me, in ogni modo. L'ho vista l'ultima volta il giorno prima della sua scomparsa: l'avevo trovata così esausta, sfinita, da non stupirmi che fosse sul punto di andarsene. Mia sorella invece non lo ha accettato. Ne ha seguito le cure in ogni dettaglio, e ha certamente pensato che si poteva fare ancora qualcosa. Si doveva resistere, tenerla comunque in vita. All'opposto di una sospirata eutanasia, meglio qualunque forma di accanimento terapeutico. Sua madre non doveva morire. E non è morta.
Ogni domenica mia sorella va a trovarla in cimitero, come in un'altra stanza della casa abitata da mia madre. E le parla e la ascolta, e le legge le cose che io scrivo su questo giornale. Mia madre così, anche se non mi vede, ha mie notizie, se ne compiace, e riposa in pace.
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